Friday 3 May, 2024
HomeMarcheCultura MarcheRiso, zafferano e cacciagione: la “dorata cucina” dell’epoca di Federico II

Un viaggio nella storia e, soprattutto, nella cucina di Federico II. Questo quanto reso possibile dalla Fondazione Federico II Hohenstaufen Jesi Onlus insieme alle amministrazioni comunali di Jesi e Monselice lo scorso giovedì, giornata in cui la delegazione del comune padovano ha fatto visita alla città natale dell’Imperatore.

All’interno di un più ampio progetto che mette in rete le città di Jesi, Altamura, Monselice e Palermo con il concorso “Il piatto di Federico”, gli ospiti di Monselice sono giunti a Jesi la mattina del 28 marzo, visitato i luoghi simbolo della città, partecipato ad una conviviale presso l’IME e preso parte ad un convegno nel pomeriggio a Palazzo della Signoria. L’occasione per approfondire la storia dell’Imperatore dalla sua nascita a Jesi, raccontata dallo storico del territorio Ettore Baldetti, fino al rapporto tra Federico II e Monselice, approfondito dall’altro storico relatore Riccardo Ghidotti. Tra i due interventi, una ricca parentesi che, dalla storia, ha messo al centro proprio la cucina e le ricette tipiche del tempo con il docente di Marketing del territorio Carlo Cambi.

Dunque, cosa si mangiava alla corte dello Stupor mundi?

Federico II è stato il reggente di un regno sconfinato dal punto di vista dei sapori – ha iniziato Carlo Cambi. Da un lato, intorno alla sua corte iniziarono a prendere spazio gli orti e, più in generale, una razionalizzazione del coltivo. Dall’altro, quello che sappiamo contraddistinguere la cucina della sua epoca era una ricerca unica della raffinatezza, specialmente nella cura dei cibi e del piatto per stupire gli ospiti. Un po’ come accade oggi nei ristoranti stellati“.

Due i libri fondamentali che hanno permesso di ricostruire usanze culinarie e ricette: Il Meridionale, datato intorno al 1240 e il Liber de coquina, una delle più importanti testimonianze sulle abitudini alimentari presso le corti italiane ed europee del tardo Medioevo.

Grazie al Meridionale, spiega Cambi, sappiamo che Federico II aveva disponibilità di zucchero e di canna da zucchero che l’Imperatore incentivava a valorizzare. Poi, la ricchezza di spezie: ” c’è una ragione per cui si speziava molto il cibo, perché esso andava incontro al corrompimento e quindi veniva spesso inondato di pepe e noce moscata che aiutavano a nasconderne il sapore forte“.

Dal Liber de coquina emerge poi il progetto di Federico II con il quale fare della cucina uno degli elementi per unificare il suo regno. Come il volgare di Dante che poi si è esteso fino a diventare la lingua della nuova Italia, la cucina di Federico II “dominerà fino a tutto il medioevo con ricette che troviamo ancora oggi“. Ad iniziare dalle sfrappe di Carnevale, le tigelle, la selvaggina ed il riso, le pagnottine di pane riempite di salumi, fino alle conoscenze tecniche diffuse già da allora su come preparare gli insaccati.

Al di fuori della corte è interessante osservare cosa mangiasse il popolo: animali da cortile e molto pesce lungo le coste. Poi i cereali, con i quali producevano focacce e pane. Infine, gli ortaggi raccolti dagli orti e molte zuppe. “Noi siamo convinti che la contemporaneità sia l’epoca più felice dal punto di vista della sanità alimentare ma ciò che emerge è come già i contemporanei di Federico II fossero alla ricerca di un’alimentazione sana, varia e di sicuro vicina al naturale. Con Federico II l’alimentazione torna ad essere uno dei cardini della vita umana sulla base del rapporto tra cibo e salute recuperato dall’Imperatore grazie alla sua conoscenza della cultura greca e latina“.

Lo zafferano e la cucina “dorata”

Tra gli elementi protagonisti della cucina della Corte dello Stupor Mundi vi era lo zafferano. Lontano da Milano, che lo ha reso nel tempo parte della propria identità culinaria, lo zafferano popolava le numerose ricette di carne della corte dell’Imperatore. Le ragioni stanno nella vicinanza della Sicilia con l’oriente e la posizione dell’Isola nei commerci con i paesi produttori di zafferano ma anche nel significato simbolico che esso porta con se.

Nel consiglio di Nicea – ha spiegato Cambi – si domandarono in che modo raffigurare la divinità e il colore scelto fu l’oro. Da santo a sano il passo è breve. Si iniziò a pensare, che colorare di giallo il cibo ne garantisse la sanità. Per questo alla corte di Federico II troviamo tantissime ricette di carni unite allo zafferano. Il colore convinceva chi mangiava che quel cibo fosse buono e sano e questo è rimasto ancora oggi in alcune attività che riproponiamo in cucina, come quando facciamo le dorature con il rosso dell’uovo o quando doriamo la carne all’esterno“.

Infine, il riso: “sappiamo se ne consumasse abbastanza e questo smentisce la credenza che il riso appartenesse alle popolazioni del nord. Gli arabi ne hanno insegnato il suo uso enogastronomico ed era tipico trovarne imbevuto nel latte di mandorla insaporito da molte spezie“.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.