Friday 19 April, 2024
HomeStoria e tradizioneIl castello di Rotorscio e la leggenda della sua ribba

Scopriamo uno dei luoghi più o meno noti della vallata dell’Esino. Andremo a conoscere un antico castello: Rotorscio di Castellaro, nel comune di Serra San Quirico.

Il castello è posto a metri 571 s.l.m all’estremità della dorsale del San Vicino ed a pochi chilometri dall’Abbazia di Sant’Elena all’Esinante. Il nome Rotorscio potrebbe derivare da Rodossa o Redossia (signora dell’antico Castrum Rodossae) o dal latino “a redossium” a ridosso. Quello che è certo che dall’altura del castello gli antichi conti signoreggiavano tutto il territorio a loro soggetto.
La vicina potente abbazia di Sant’Elena aveva già nell’anno Mille possessi a Rotorscio, ma il castello non dipendeva da questa, in quanto è certa la subordinazione all’abbazia di Sant’Urbano.

Nel 1248 il Castello di Rotorscio si sottomette a Jesi. A governare sul castello ci fu, fino al 1365, la nobile e potente famiglia dei Rovelloni, per poi essere venduto agli Smeducci Scala. Nel 1662 diventano signori del castello gli Stelluti – Scala che avranno potere fino all’età Napoleonica, poi il castello sarà ceduto al Comune di Serra San Quirico.

Rotorscio ha avuto una notevole importanza nel corso del tempo e ciò ci è confermato anche dalla sua imponenza architettonica. Ricordiamo che il castello vantava una sua cancelleria baronale, un archivio notarile ed un Monte Frumentario.

Visitando ora quello che resta del castello è difficile comprendere la sua antica importanza politica e strategica. Il degrado è cominciato alla metà dell’800, quando la popolazione locale ha iniziato una sistematica demolizione, utilizzando le pietre del castello per riedificare le ville di Castellaro, poste a valle dello stesso. Infatti osservando le case di Castellaro, non è raro imbattersi in bassorilievi, stemmi nobiliari o stipiti. L’unica parte rimasta intatta del Castello è il palazzo nobiliare.

Grazie ad una mappa gregoriana del 1814 riusciamo a comprendere la sua organizzazione interna: l’impianto urbanistico era quadrangolare con mura fortificate attorno. Le vie interne erano strette e parallele e si accedeva al castello da una porta posta ad est che si apriva una piccola piazza dove vi si affacciava il palazzo del signore, formato da quattro piani, la torre e la chiesa di Santa Maria.

La leggenda della Ribba di Rotorscio

Tra la torre ed il palazzo ancora esiste una delle due cisterne d’acqua. Il castello ha sotto un suo lato una frana naturale chiamata: “Ribba di Rotorscio” a cui è legata una nota leggenda popolare.
Si racconta che un certo Cristoforo mentre faceva ritorno a casa, sulla collina di Rotorscio con il suo asino, incontrò un forestiero che gli chiese se poteva appoggiare alcuni suoi sacchi pesanti sopra l’animale.
Giunti ad un bivio l’uomo disse a Cristoforo che avrebbe proseguito per una strada diversa, ma che si sarebbero rincontrati più avanti laddove le due strade tornavano a ricongiungersi.
Lo sconosciuto, però, non si fece trovare al punto convenuto e Cristoforo tornò a casa.
Quando scaricò le sacche del forestiero scoprì che contenevano monete d’oro e d’argento. Per alcuni anni Cristoforo attese il ritorno dell’uomo e tenne nascoste le monete. Poi, convinto che ormai non lo avrebbe più rivisto decise di usare le monete per comprare un podere e una casetta.
Dopo cinquanta anni precisi dall’incontro, il forestiero si presentò davanti la porta di Cristoforo, chiedendo la restituzione delle sacche. Cristoforo spiegò che non avendolo più visto aveva usato le monete. Lo strano uomo si adirò, si trasfigurò in un demonio e fuggì via urlando “Tattabao’” e fece crollare le terre che aveva acquistato con il suo denaro.

Da qui l’origine della leggendaria “Ribba di Rotorscio”.

Autore

Cristiana Simoncini

Laureata in Lettere moderne, specializzata in valorizzazione e comunicazione dei beni culturali, è iscritta all’ordine dei giornalisti dal 2007 ed ha collaborato per svariate testate giornalistiche. Autrice di diversi libri di storia locale, è membro del comitato di redazione della Rivista “Quaderni storici Esini”. Attualmente lavora come operatrice di patronato.