In un contesto sanitario sempre più orientato alla presa in carico integrata del paziente oncologico, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche (AOUM) si distingue con un approccio innovativo e coordinato nella gestione del carcinoma epatocellulare (HCC), la più comune neoplasia primaria del fegato.
Un modello fondato su team multidisciplinari e su un PDTA strutturato, che accoglie pazienti non solo dalle Marche ma anche da Umbria, Abruzzo e altre regioni limitrofe, offrendo un percorso terapeutico avanzato, personalizzato e fondato sulle migliori evidenze scientifiche.
Una rete per vincere il tumore al fegato
L’HCC colpisce ogni anno circa 13.000 italiani, nella maggior parte dei casi con una storia clinica di epatopatia cronica o cirrosi. Il trattamento può comprendere chirurgia, radioterapia, resezione, trapianto, tecniche loco-regionali e terapie sistemiche. In questo scenario complesso, la centralità di un Gruppo Multidisciplinare di Patologia (GMP) risulta determinante per garantire la giusta strategia terapeutica.
A confermare l’impegno dell’AOUM in questa direzione è l’incontro tecnico in programma a Senigallia il 30 maggio, promosso dal professor Gianluca Svegliati Baroni, responsabile dell’Unità di Danno Epatico e Trapianti, e dal dottor Roberto Candelari, direttore della Struttura di Radiologia Interventistica. All’iniziativa sono stati invitati specialisti da tutte le regioni coinvolte per ricreare lo stesso modello di gestione multidisciplinare attivo presso l’Ospedale di Torrette.
“La gestione multidisciplinare – spiega il professor Svegliati Baroni – è oggi una necessità imprescindibile: solo l’integrazione di competenze diverse permette una valutazione completa delle caratteristiche cliniche e prognostiche del paziente e della malattia, con scelte terapeutiche mirate.”
La radioembolizzazione tra le nuove armi terapeutiche
Nel ventaglio delle terapie disponibili, l’AOUM si distingue per l’utilizzo avanzato della radioembolizzazione (TARE), una procedura loco-regionale altamente specialistica che utilizza microsfere cariche di Yttrio-90 iniettate direttamente nelle arterie epatiche, in grado di colpire selettivamente il tumore.
Il dottor Candelari ne descrive i benefici:
“Si tratta di un trattamento sicuro per il paziente e per chi gli sta intorno. Dopo l’intervento il soggetto emette livelli minimi di radiazioni, ma senza rischio per terzi. La TARE può essere impiegata da sola o come ponte verso trapianto, chirurgia o ablazione, e necessita della collaborazione stretta tra radiologo interventista, medico nucleare e fisico medico.”
Collaborazione interregionale e personalizzazione della cura
L’obiettivo dell’incontro del 30 maggio è proprio quello di rafforzare la rete tra i centri specialistici delle tre regioni per una risposta sinergica e uniforme. Il messaggio è chiaro: non è più il paziente a doversi adattare al centro di cura, ma il sistema a doversi organizzare attorno al caso clinico.
“Abbiamo già trattato con successo pazienti da Umbria e Abruzzo”, spiega ancora Svegliati Baroni. “Con questo evento vogliamo condividere la nostra esperienza e promuovere una rete interregionale realmente efficace.”
A sottolineare il ruolo chiave della discussione collegiale è anche il professor Riccardo Giampieri, oncologo dell’AOUM:
“Soprattutto nei casi complessi, è solo attraverso la valutazione multidisciplinare che possiamo trasformare una serie di opzioni terapeutiche in percorsi strutturati che ottimizzano gli esiti clinici. È questo che permette alla medicina personalizzata di essere anche efficace.”
Il valore delle Linee Guida e l’importanza della formazione condivisa
L’integrazione tra specializzazioni mediche, come epatologia, oncologia, radiologia interventistica e medicina nucleare, è coerente con quanto previsto dalle Linee Guida nazionali e internazionali. L’approccio condiviso consente di superare i confini geografici, offrendo a ogni paziente – indipendentemente dalla residenza – le cure più appropriate, secondo criteri di equità, tempestività e precisione.