Monday 20 May, 2024
HomeItaliaCronaca ItaliaE anche Giulia muore: perché gli uomini continuano ad ucciderci

Lo hanno definito “Effetto lucifero“. Il termine è stato coniato da Philip Zimbardo in seguito all’esperimento carcerario di Stanford per indicare il processo per il quale l’aggressività è influenzata dal contesto in cui un individuo si trova. Quando entriamo in un ruolo in pratica, disumanizziamo l’altro e se il compito che ci viene assegnato è quello di mantenere ordine ad ogni costo, non interessa più se si fa del male, perché l’importante è farne affinché il ruolo sia assolto.

Ma come definire il ruolo di un ex fidanzato che uccide? Quale trasgressione sarà stata meritevole di tanta punizione? Come si diventa vittime e carnefici di una storia?

Le risposte partono dalle fondamenta della cultura. Viene citata l’educazione ricevuta nell’infanzia, i meccanismi messi in atto dalla violenza, fino all’inadeguatezza del sistema di tutela delle donne che denunciano. Verità note che però mostrano la loro fragilità ogni qual volta che una morte come quella di Giulia torna a ricordarci la fragilità sociale nella quale viviamo.

Le sue tracce, insieme a quelle dell’ex fidanzato Filippo, si erano perse la sera dell’11 novembre. Sono state vagliate ipotesi ed effettuate ricerche, fino a stamattina quando la possibilità di una semplice fuga insieme al ragazzo è stata sostituita dalla realtà del corpo di Giulia, ritrovato nella zona del Lago di Barcis, nei pressi di Pordenone.  

Il suo nome, si aggiunge così a quello delle altre 104 donne uccise prima di lei dall’inizio dell’anno nel nostro paese. A diffondere il report, il Servizio analisi della direzione centrale della polizia criminale. Nell’85% dei casi il carnefice è sempre il partner o l’ex partner e, sempre più spesso, la vittima è una donna che aveva già denunciato la paura dell’altro.

La stessa vicinanza espressa nelle ultime ore per Giulia e per coloro che sono state finora uccise, è arrivata principalmente da donne. Politiche, rappresentanti delle istituzioni, studiose o persone comuni, chiamate in causa ogni volta che una donna muore, non dal lavoro che fanno ma dal fatto che, in qualche modo, quella morte è vissuta come parte di un futuro potenzialmente condiviso. Nessuna in fondo si sente al sicuro perché sa effettivamente di non esserlo.

La rabbia che arriva con la notizia del femminicidio di Cecchettin è sicuramente anomala per intensità – scrive la scrittrice Carlotta Vagnoli in un post: le donne si sono trovate sempre da sole e abbiamo iniziato a provare rabbia comprendendo che ogni donna morta di femminicidio era morta per una catena di disinteresse. La violenza di genere è un problema maschile ma dobbiamo comunque pensarci noi donne, perché loro sono come tutti gli altri. Bravi ragazzi che non uccidono“.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.