18 in manette a Castellammare di Stabia e Pompei per associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsione, porto illegale di armi, rapina, spaccio e accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
L’operazione condotta dai Carabinieri di Castellammare di Stabia e coordinati dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, ha avuto origine nel giugno del 2020, all’indomani della chiusura di una prima tranche di investigazioni che aveva consentito di raccogliere gravi indizi a carico di 16 indagati, accusati a vario titolo di aver dato vita ad un gruppo criminale, originariamente incardinato nel clan Cesarano.
Nell’ottobre 2021, l’indagine ha portato alla condanna di alcuni imputati che nel frattempo hanno definito la loro posizione con il rito abbreviato mentre le attività investigative sono continuate per monitorare l’attività del clan.
L’operazione ha dunque portato ai 18 arresti di stanotte rilevando un’associazione criminale che vedeva al vertice Vincenzo Cesarano, detto “O Mussone”, cugino degli storici vertici del clan Ferdinando e Gaetano Cesarano, entrambi detenuti in regime di 41 bis O.P, insieme a Luigi Belviso e Giovanni Cafiero i quali, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero posto in essere condotte di carattere organizzativo e direttivo, con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati.
In particolare, “O Mussone” avrebbe gestito la cassa del clan, impartendo le direttive strategiche, mentre Cafiero, oltre a partecipare alle riunioni nelle quali venivano decise le strategie del sodalizio e la questione del sostentamento degli affiliati detenuti, si sarebbe occupato del recupero dei crediti maturati da vari imprenditori. Belviso , infine, oltre a promuovere specifici reati si occupava dei rapporti con esponenti di altri sodalizi dell’area napoletana.
Nel corso delle indagini sono stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di numerose estorsioni nell’area stabiese ai danni di attività imprenditoriali, attività ricettive, attività commerciali e negozi. Nella morsa del clan sarebbe finito anche un familiare di Raffaele Imperiale (oggi collaboratore di giustizia), titolare di un’impresa edile. Monitorate inoltre attività di spaccio, rapina e fornitura di dispositivi telefonici e schede sim agli affiliati in carcere.
Al termine delle formalità di rito, quattordici indagati sono stati associati in carcere, uno sottoposto al regime degli arresti domiciliari e quattro persone, due delle quali già destinatarie di misura cautelare in carcere, sono state sottoposte alla misura del divieto di dimora nella Provincia di Napoli.