Dopo la vittoria della nazionale femminile alle Olimpiadi, chissà se qualcuno si sarà ricordato, dove e quando è iniziata l’avventura di Julio Velasco
Tutto è cominciato a Jesi, una città che da decenni sforna campioni e risultati, che proprio quest’anno festeggia i dieci anni dal titolo di “Città europea dello sport”. Una specie di favola dei giorni nostri. Ce la racconta Gianluca Fioretti, con l’aiuto di suo padre Gianfranco, all’epoca dirigente della società jesina. Felice intuizione, colpo di fortuna? Forse un po’ dell’uno e dell’altro.
«La società nasce nel 1974. All’epoca mio padre era il segretario cittadino del PSDI. In Germania esisteva un’organizzazione dei giovani socialdemocratici chiamata ‘Società Nuova’, lo spunto per il nome. La ‘Società Nuova Jesi’, con le sue maglie rosse, nasce con il volley femminile, fino alla serie C, oltre al calcio, in seconda categoria. Dopo qualche tempo, abbandonati volley femminile e calcio, cresce la squadra maschile, a fine anni ’70 promossa dalla C alla B con Lamberto Giordani allenatore, poi nel 1983 la promozione, prima società a Jesi, in serie A2.»
Come è nata l’idea di portare a Jesi Velasco?
«A quel punto la società chiede a Giordani di restare come allenatore e fare il salto come professionista, ma allora lavorava come ferroviere e non se la sente di fare questa scelta, allora impegnativa, e sceglie di non accettare.
L’allora direttore sportivo della Kutiba Falconara, Tarcisio Pacetti, l’anno precedente era stato in Argentina per i Mondiali. A conoscenza della situazione a Jesi e con la casella allenatore a Falconara ben coperta da Marco Paolini, durante un incontro riferisce a mio padre che lo aveva colpito molto l’allenatore della nazionale argentina, un certo Velasco, un ragazzo molto bravo, che a suo dire aveva portato dei metodi di allenamento a quel tempo rivoluzionari, con una impostazione centrata molto sulla preparazione atletica e sulla psicologia.»
Cosa succede, a quel punto?
«Mio padre ne parla con Casoni, l’allora presidente, i dirigenti Gilberto Bigi e Mario Rango, il direttore sportivo Beppe Cormio, e si mettono in moto per contattarlo. Julio prende l’aereo e viene per la prima volta a Jesi. Durante una cena al ristorante ‘Colle Paradiso’ si trova subito un accordo.»
Se non ricordo male il passo successivo era stato scegliere i due stranieri. Per quello che mi hai anticipato anche arrivare alla prima scelta, Waldo Kantor, fu una specie di avventura…
«Si certo. Con l’arrivo di uno sponsor ambizioso, la ‘Latte Tre Valli’ di Jesi, la società inizia la ricerca dei due stranieri. Velasco fa il nome di Waldo Kantor, il palleggiatore della nazionale argentina, un autentico fuoriclasse. Un dirigente della ‘Tre Valli’, tramite un loro rappresentante in Toscana, viene a sapere che il giocatore argentino, giunto alla scadenza del contratto a Siena in A1, stava per rientrare in Argentina. Telefona a mio padre, raccomandandosi di fare presto, perché aveva un volo prenotato per il giorno seguente. E lui non ha nessuna esitazione, sale in auto, passando la notte al volante. Al mattino suona il campanello a casa di Kantor, occupato a fare le valige. Con il campionario della produzione e le ambizioni della ‘Tre Valli’, e Julio Velasco allenatore, riesce a convincerlo. Kantor rinuncia e carica i bagagli sull’auto di mio padre, e partono direzione Jesi. Sulla scia di Kantor, arriva anche l’altro argentino, il centrale Buby Wagempfeil, anch’egli nazionale, che giocava a Castelferretti in A2. L’ossatura della squadra è pronta, completata dalle conferme di Fanesi, Petrelli, Giannini, Squartini, Esposto e gli altri.»
Ricordo quel testa a testa con i Lupi Santa Croce e la vittoria dei toscani nello scontro diretto. Purtroppo non andò come si sperava
«Purtroppo non riuscimmo a salire in A1, forse era ancora presto per il salto. Dopo due anni lo sponsor decide di non rinnovare, a Velasco viene offerto il salto di qualità dalla Panini Modena: per lui sarebbe stato l’inizio di quel clamoroso percorso nel volley nazionale. E con lui inizia la crescita esponenziale, meravigliosa, di tutto il movimento, maschile e femminile, fino alla medaglia d’oro a Parigi.»
Hai qualche ricordo del Velasco “jesino”?
«Quando allenava la ‘Tre Valli’ seguivo spesso gli allenamenti, ricordo alcuni episodi, come quando faceva indossare ai centrali la cintura con i pesi da sub, una cosa che all’epoca nessuno avrebbe pensato di fare, oppure l’abitudine di chiudersi negli spogliatoi per lavorare sull’aspetto psicologico nella costruzione della squadra, cose inimmaginabili a quel tempo. Poi una curiosità: con la moglie e le sue due bambine abitavano in Viale Verdi, sopra il bar ‘ex Manoni’. Negli spostamenti usava un’auto che gli era stata messa a disposizione da una concessionaria cittadina, una vecchia berlina bianca rimessa in piedi, con uno sportello giallo e uno rosso! La cosa oggi fa sorridere, ma allora davvero era un volley d’altri tempi, se pensiamo a oggi, ma a lui andava bene anche così.»
(nella foto in alto a sinistra Velasco, in basso da sinistra i due nazionali argentini Wagempfeil e Kantor)