Friday 20 September, 2024
HomeIn evidenzaGigio Gresta, dalla panchina alla scrivania, ma il basket resta il primo amore

Sinceramente fa un certo effetto organizzare una intervista con un personaggio del suo calibro, prendere l’auto, fare un tratto di autostrada, assai trafficato in un periodo di esodi per le vacanze, entrare a Pesaro, dove anche i muri parlano di basket e darsi appuntamento non già su un campo di basket, ma davanti a una palazzina che ospita ufficii comunali. E di alternative ce ne sarebbero, la Vitifrigo Arena, il vecchio “hangar”, la palestra di Piazzale Carducci, dove, a quanto sembra, dovrebbe essere nata a Pesaro la pallacanestro ed almeno una dozzina di playground. Intervista a parte, sono state un paio d’ore passate ad ascoltare episodi, aneddoti, fatti e misfatti sul basket; oggi la vita di Gresta è cambiata, nuovo lavoro che nulla ha a che vedere con lo sport, ma con il basket che scorre ancora nelle vene.

«Sorge spontanea una domanda; perché dopo tanti anni hai lasciato il basket?»

«Due anni fa sono andato ad allenare a Firenze e sappiamo tutti come è andata a finire; a dicembre ci hanno detto “sciogliete le righe, non ci sono più i soldi”, così ho preso un solo stipendio. Ho pensato, “pazienza, non mi è mai capitato, ma può accadere”. Poi vado ad allenare a Cesena: due anni di fila e succede la stessa cosa di Firenze. A quel punto mi sono ricordato di avere una laurea in economia e commercio; ho visto che c’era un bando per un concorso al comune di Pesaro, l’ho fatto, l’ho vinto e ho cambiato vita.»

«Quindi se ho ben capito ti ha deluso il mondo del basket, forse non più lo stesso nel quale avevi cominciato la carriera. È così?»

«Sarebbe facile, ma sarebbe un errore dire che mi sono stancato del basket: no! Probabilmente è più il basket che si è stancato di me, nel senso che a me il basket piace, però mi sono accorto che non era più quello: esclusa la serie A, in A/2 e andando più giù ho capito che non c‘erano le soddisfazioni economiche e sportive che potevano giustificare certi sacrifici. Questa è una parte, ma non l’unica. C’è anche da dire che non ero più popolare, non ero più di moda nella pallacanestro. Invece di rischiare di fare, non so, come Drupi, come Claudio Villa che cantava quando nessuno lo stava più ad ascoltare, per evitare di arrivare a quel punto, ho preferito che si chiudesse il sipario, prima di mortificarmi. Sono sincero, mi dava molto fastidio, mi faceva male sentendomi ancora voluto, ma non come un tempo; ho scelto di non voler più andare avanti.»

«Adesso parliamo di due città alle quali sei molto legato, Pesaro che è la tua città e Jesi. Come vedi la situazione nel basket di queste due piazze?»

«Spero che a Pesaro accada quello che è stato a Treviso, a Bologna o in altre grandi città tipo Livorno, che sta tornando su. Pesaro ha una storia importante, una realtà solida dal punto di vista economico, sarà fondamentale che questo passo all’indietro non faccia morire l’entusiasmo. Penso che possa accadere la stessa cosa come nel periodo in cui era sprofondata in B/2, poi era risalita, fino ad arrivare a giocare le semifinali scudetto. Pesaro vive la pallacanestro come a Roma o Milano il calcio.

Per quanto riguarda Jesi la posso accomunare a un’altra realtà a cui sono molto legato, Avellino; la società campana ha conosciuto i fasti di diversi anni di A/1 e perfino l’Eurolega. Sta rinascendo, è appena tornata in A/2. Anche a Jesi il basket è importante, serve riportare un po’ di entusiasmo, ma fondamentalmente trovare ulteriori risorse economiche e forse anche un filantropo, qualcuno che porti risorse per ringraziare il territorio, un imprenditore come all’epoca lo è stato Alfiero Latini. Comunque la base c’è, serve riportare entusiasmo, oltre a portare nuove risorse economiche si dovrebbe lavorare per creare un gruppo di persone come eravamo a quel tempo: si discuteva, ma alla fine eravamo amici, persone che lavoravano per il bene comune e non per dimostrarsi migliori degli altri. Latini era il capo, ma dietro aveva un gruppo di persone che con quell’entusiasmo avevano portato Jesi in alto.»

«Ti capita la domenica pomeriggio di accendere la tv, attorno alle 18:00?»

«Sono abbonato a LNP Channel, molte partite le guardo in diretta, altre in differita. Quando il basket era il mio mestiere le guardavo con occhio più interessato, adesso che il mio ruolo è quello di funzionario comunale, con un occhio più divertito, meno tattico e meno tecnico.»

«Hai qualche progetto futuro?»

«Mi hanno chiesto di allenare le ragazze under 15 e under 13 a Fossombrone dove abito; è l’unica offerta che ho accettato. Chiederò l’autorizzazione all’ente per il quale lavoro, ma non credo ci siamo problemi. Non mi sono voluto cimentare in qualche altra situazione, per fare un esempio allenare una serie C, anche solo per hobby; devo vincere, altrimenti faccio figuracce. Allenare gli under 19, gli under 17 mi piacerebbe, però sono dei ruoli decisamente più adatti a chi vuole fare carriera. Io quella carriera l’ho già fatta, così, volendomi ancora divertire con il basket, allenerò le bambine.»

In cantiere ci sono nuovi progetti.

Autore

Giancarlo Esposto

Giornalista iscritto all’Ordine dei Pubblicisti dal 1985 – tessera n. 52020 - e scrittore. Ha all’attivo numerose collaborazioni con emittenti radio-tv e giornali su carta e online. Nel 2010 ha ricevuto la medaglia d’argento per i 25 anni di iscrizione all’Ordine, nel 2020 era nell’elenco dei premiati del Premio Giornalistico Nazionale Giuseppe Luconi. Come scrittore, dopo alcune pubblicazioni di sport, relative alla sua attività giornalistica e dedicate al vernacolo, si è dedicato alla narrativa, pubblicando 5 romanzi; il più recente "Anagramma di donne". Pochi mesi fa ha pubblicato il libro "Dal taccuino di un cronista", racconti di oltre trent'anni di giornalismo. Sportivo praticante fino a poco tempo fa, è stato sposato, vive con suo figlio, un cane, tre gatti e una tartaruga. Inoltre è parte attiva all’interno dell’Agenzia assicurativa Jesi 2.000. Una delle sue frasi preferite: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta.” (Fernando Pessoa).