Una lunga carriera da giocatore, ora il momento dei saluti dopo un triennio da dirigente e un futuro da consulente
Dici Nelson Rizzitiello, dici basket: Stella Azzurra Roma, Aurora Jesi, Stamura Ancona, Pallacanestro Patti, Barcellona, San Severo, Piacenza, Napoli, Trapani, Palermo, Eurobasket Roma, Montecatini, Montegranaro, Cento, Palestrina, Omegna, poi ancora Jesi. Il rischio è di aver dimenticato qualche tappa. Poi il ritorno a Jesi, per chiudere il percorso da giocatore, senza la possibilità di restituire quanto ricevuto a inizio carriera per un “maledetto” infortunio.
Oggi le strade della società jesina e di Rizzitiello si dividono, alla fine di un triennio come dirigente, nel quale ha lavorato al fianco di Ghizzinardi, realizzando un crescendo di risultati, accesso alla B Nazionale nella prima stagione, poi conquista dei play-off nei due anni successivi.
«Nelson proviamo a tracciare un bilancio di questi anni vissuti a Jesi come dirigente.»
«Il bilancio di questi miei anni a Jesi è stato positivo, da giocatore purtroppo non ho potuto esprimere quello che ero per via dell’infortunio; da dirigente si ricopre spesso un ruolo un po’ scomodo, quello di chi deve prendere decisioni difficili: scegliere lo staff, valutare i giocatori, individuare le criticità e trovare soluzioni per migliorare. È un compito delicato, ma credo di averlo svolto con competenza e responsabilità.
Poi, certamente, tutti possono commettere degli errori. L’importante è sapersi mettere in discussione e cercare sempre di migliorare. Il bilancio, quindi, è assolutamente positivo. In questi tre anni da dirigente, sono convinto che la società abbia compiuto passi in avanti e sia cresciuta sotto molti aspetti. I risultati sono arrivati e ne sono davvero felice. Anzi, voglio ringraziare la società per avermi dato questa opportunità, così come tutte le persone che hanno lavorato e collaborato con me. Sono convinto che gli obiettivi non si raggiungano mai grazie al merito di una sola persona, ma solo attraverso il lavoro di squadra: giocatori, dirigenti, staff, allenatori, società, pubblico e chiunque, in qualsiasi modo, mi abbia dato una mano. Ognuno ha contribuito a rendere possibile questo percorso.»
«Credo che la tua crescita sia andata avanti su due binari paralleli, quello dirigenziale e quello professionale nel campo della finanza. Che ne pensi?»
«Per me è stata una crescita personale anche sotto il profilo della gestione delle cose. Quando sei atleta devi essere più pratico, ero molto più impulsivo, anzi lo sono sempre, è una mia particolarità che cerco sempre di migliorare; anche soprattutto l’approccio della problematica, quando sei dall’altra parte devi essere più riflessivo. Questi anni sono stati importanti per la mia crescita. Per quanto riguarda la mia professione di consulente la mia società sta crescendo molto bene, in Italia c’è un mercato ancora vergine, tanto che abbiamo inserito quattro collaboratori; sono soddisfatto di come sta andando. Forse è arrivato il momento di capire se dare priorità alla professione o continuare con il basket, anche perché la sola vita da dirigente sportivo, oggi, non è sufficiente. Ma il basket resta una passione profonda, che non potrà mai essere accantonata: al cuore non si comanda»
«Cosa ti aspetti dal futuro?»
«Dal futuro mi aspetto una crescita significativa per la mia società di consulenza. Per quanto riguarda il basket, credo sia arrivato il momento di prendermi una pausa: Nathan gioca e sento il bisogno di essere più presente come padre. Approfitterò anche per riposarmi un po’. Ho ricevuto alcune proposte da realtà fuori regione, ma al momento non me la sento di intraprendere un percorso lontano da casa. Che dire? Devo davvero ringraziare Jesi, perché non mi aspettavo così tanto affetto. In tantissimi mi hanno scritto, mi hanno fatto sentire la loro vicinanza e mi hanno anche ringraziato per ciò che ho fatto. Li ringrazio di cuore, perché mi hanno fatto sentire apprezzato. E lo striscione che è stato esposto durante l’anno è stato davvero toccante: mi ha emozionato profondamente. Ho perso mio padre quando avevo solo quattro anni e mia madre a diciannove. È stato un percorso in cui sono stato accompagnato poco: avevo solo un nonno di 65 anni che, per ovvie ragioni, non poteva seguirmi pienamente. In mezzo a tutto questo dolore, è stata la pallacanestro a salvarmi: mi ha dato forza, equilibrio e un motivo per andare avanti. Mi ha anche insegnato ciò che mi mancava: regole, valori e punti di riferimento.
Ma a completarmi davvero è stata mia moglie. Ci siamo sposati giovani, avevo appena 23 anni, e oggi abbiamo due splendidi bambini. Sono loro la mia forza e la mia felicità ogni giorno.»
«Hai del rammarico per non essere riuscito a riavvicinare il pubblico, nonostante ti sei impegnato?»
«Certamente, un po’ di rammarico c’è. Ho sempre considerato il rapporto con il pubblico un aspetto fondamentale del nostro lavoro e ho cercato in ogni modo di riavvicinarlo, con iniziative, presenza e dialogo. Purtroppo, non tutto dipende dall’impegno personale, e tantomeno solo da me: ci sono dinamiche più ampie, che vanno oltre il singolo.
Resta comunque la soddisfazione di averci provato con serietà e passione. Alla fine, il pubblico è cresciuto rispetto a tre anni fa, e questo è un segnale positivo. Rispetto le scelte di tutti, anche di chi ha deciso di rimanere più distante»
«Con la parte si divide una coppia, tu e Ghizzinardi, che ha lavorato bene. È così?»
«Con Marcello ho lavorato benissimo, credo che la stima sia reciproca. Oltre che un bravo professionista per me è diventato un amico. La cosa che mi è piaciuta di più è che mi ascoltava tanto e devo dire che questo è gratificante per un dirigente. Con lui non c’è stato mai nessun problema, penso che sia stato un ottimo compagno di viaggio. Gli faccio un sincero in bocca al lupo.»
E chissà che il saluto finale di Nelson, non sia il classico “arrivederci”, se è vero che per lui il basket resta una passione profonda, che non potrà mai essere accantonata: del resto, come ha appena detto “al cuore non si comanda.”