Appresa, condivisa, onnicomprensiva e simbolica, sono queste le quattro caratteristiche che gli antropologi di inizio Ottocento hanno attribuito alla “cultura“. Qualità di ciò che viene scolasticamente definito come “l’insieme dei valori, simboli, credenze, modelli di comportamento che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale“. Ogni gruppo sociale ha la propria ed essa cambia con lo scorrere del tempo, rinnovandosi ma conservando i valori che distinguono una comunità dall’altra. Ciò che chiamiamo “folclore“, è una parte di cultura, per certi versi, particolarmente affezionata al passato. Non teme lo scorrere del tempo, al contrario, cerca di affrontarlo valorizzando ciò che nella storia ha contraddistinto l’identità collettiva.
Nelle Marche, così come in altre regioni o località del mondo, la cultura folcloristica veste i colori di abiti tradizionali e musiche suonate dal vivo. Cultura anacronistica che trova la propria forza in una genuina saggezza popolare. Il compito di tramandarla viene assolto da Gruppi folcloristici in ogni regione, sono più o meno dieci quelli iscritti alla Federazione Italiana tradizioni Popolari per la Regione Marche, ed uno di loro nasce a Montecosaro nel 2007. I circa 30 elementi del Gruppo Li Matti de Montecò si fanno portavoce delle tradizionali coreografie del “saltarello marchigiano“, facendolo conoscere dentro e fuori regione.
Tale condivisione di cultura, nel 2020, ha preso anche la forma di un libro. “Un salto nel Folklore“, questo il titolo del volume pubblicato dalla marchigiana Giacani Editore, racconta a parole ciò che il Gruppo mette in danza e musica, contribuendo a trasmettere alle future generazioni il passato della regione, anche attraverso la carta stampata.
Dalle origini del nome ai canti popolari: “Un viaggio nel folklore”
Il gruppo, affiancato da Elisa Tosti ha presentato il proprio libro la sera del 28 novembre in Vallesina, ospitato dal Beerbante da Ciavì di Castelplanio. “Abbiamo deciso di identificarci con il nome del luogo e abbiamo ripreso l’appellativo con il quale venivano chiamati gli abitanti di Montecosaro durante il periodo della peste – inizia l’insegnante del Gruppo Monia Scocco, iniziando proprio dal raccontare la scelta dell’insolito nome del Gruppo. Ai tempi della peste infatti, i malati che venivano rifiutati dai paesi limitrofi finivano per rifugiarsi a Montecosaro, l’unico paese che aveva sotto delle grotte dove poterli accogliere. Leggenda vuole che, come raccontato da Monia, tutti gli abitanti vicini dicessero agli abitanti di Montecosaro che fossero matti: “lo ricorda anche l’antico detto: A Montecò chi non è matto non ce lo vò e chi non è matto bè, non ce lo vò pè ‘gnè”. Riprenderlo nel nome è un modo per tramandare anche questa storia, spiega l’insegnante.
Il recupero dei canti popolari
Nel libro, sono protagonisti aneddoti del passato ma soprattutto, i tradizionali canti che animavano la vita del paese e la comunità contadina. “Abbiamo cercato di riproporre la quotidianità di un tempo attraverso le canzoni che raccontano una natura che nasce muore e risorge” spiega Monia insieme al Presidente del Gruppo Claudio Scocco. “Il libro segue la partizione dell’anno calendariale, dai canti dell’inverno, che iniziavano con la Pasquella, passando per i canti della primavera, la stagione nella quale iniziano i lavori nei campi, per poi proseguire con i canti d’amore fino ai canti della Vendemmia, uno dei momenti più importanti dell’anno e con il saltarello che ricorda l’importanza di questo momento“.
Ma è dietro al verso, spesso in rima, che si cela il valore culturale del canto. Il suo ruolo sociale, utilizzato come vero e proprio strumento di socializzazione per gestire, attraverso una sana irriverenza, momenti di festa, nuove conoscenze, e addirittura, momenti di discordia. “Ci sono dei brani dove gli uomini e le donne dialogavano ed erano proprio queste ultime ad avanzare critiche sui comportamenti maschili, a dire la propria“, raccontano. Una pratica che ricorda, per certi versi, un’usanza osservata nel lontano popolo eschimese dove il “duello canoro” fa parte è parte dell’istituzione cittadina e consiste in uno scambio di insulti in musica che ha lo scopo di generare risate portando dalla propria parte l’opinione pubblica. Pena, l’esclusione del perdente dalla comunità. Un esempio che dimostra come la cultura sia sì distintiva di ogni gruppo sociale, ma sia anche simile a notevoli distanze in quanto scaturita, in ogni caso, dall’essere umano.
Tramandarla e ricordarla è così fondamentale per non “rinnegare le proprie radici“, ma anche per conoscere l’altro, instaurare rapporti, attività fondamentale per la sopravvivenza della comunità stessa. Questo, è anche ciò che viene fatto dai componenti de Li matti de Montecò. Uniti dall’amore per il proprio territorio, ma anche responsabili di “lasciare una testimonianza” fondamentale per l’identità delle generazioni future.