Leggere il nuovo romanzo di Giulia Caminito, vincitore della 59esima edizione del Premio Campiello, è come fare un tuffo in acque gelide durante un freddo inverno. L’acqua di un lago che non è mai dolce, ma amara e al tempo stesso illuminante dopo averci nuotato dentro.
Le quattro pagine che precedono il primo capitolo sono il trampolino per immergersi nella storia. Pagine che mostrano, piuttosto che raccontare, una donna coi capelli rossi di nome Antonia, con addosso “un vestito di lino e tacchetti da cresima”, una valigetta stretta alla mano destra. Entra in un ufficio recitando un copione che la aiuti a mostrare più sicurezza possibile, il tutto per chiedere che il seminterrato dove abita con la sua famiglia le sia riconosciuto. La situazione precipita nel peggiore dei modi, con il vestito che si strappa e lei cacciata via inascoltata.
È la figlia di Antonia a narrare la storia. La voce di Gaia guida il lettore nella sua vita, in cui le difficoltà del crescere si fondono con quelle economiche che sin dalla nascita la accompagnano. Sua madre è la colonna portante della famiglia, parte viva e dinamica che provvede ai quattro figli e al marito, statico e in sedia a rotelle dopo una brutta caduta nel cantiere dove lavorava in nero.
Fanno parte dei dimenticati, degli invisibili che vivono “chiedendo alla città, al sindacato, all’Italia di venir aiutati e ricoverati e salvaguardati. La loro vita è una preghiera perpetua”. Tutto questo pesa come un macigno su Gaia. La povertà, i libri della biblioteca da restituire al posto della televisione, i vestiti riciclati da indossare e i Natali mancati, sono costante nutrimento per la sua rabbia. A questo si aggiungono “i capelli rossi, gli occhi verde fango e le lentiggini sul naso”, segni indiscutibili del suo essere figlia di Antonia “la trascurata, l’operaia, la lavapiatti, quella col vestito di lino preso al mercato e indossato per fingere ciò che non è”.
Divergere da sua madre diviene col tempo principale obiettivo. Detesta il suo lottare per le ingiustizie e l’irruenza con la quale interviene nella vita dei suoi figli, il suo sapere, in quanto madre, cosa sia meglio per loro. Un’immagine di maternità che ricorda “il diritto di tutte le madri” che Olga nel Quartiere di Pratolini riconosce e legittima in sua madre Elvira. Per Gaia invece quel diritto che la lega indissolubilmente ad Antonia è tutt’altro che legittimo. Eppure per quanto non voglia, sa di assomigliarle totalmente, di esserne il suo riflesso.
Il loro parallelismo emerge dallo stesso piano narrativo. I loro personaggi si presentano insieme al lettore, paragrafo dopo paragrafo. Ad ogni azione di Antonia corrisponde una reazione di Gaia, le caratterizzazioni dell’una trovano corrispondenza nell’altra. Da sua madre, Gaia eredita la determinazione che le permette di difendersi, la capacità di saper mirare, sparare e battersi per centrare i suoi obiettivi. Al tempo stesso lo scontro e l’avversione non fanno che generarle ansia di dimostrazione. Quel rapporto inscindibile diventa componente tossica della sua crescita.
La tematica del riconoscimento pervade l’intero romanzo. La costruzione di un’identità da far relazionare agli altri rendono Gaia protagonista del suo romanzo di formazione. Cresce sotto gli occhi del lettore che la conosce da bambina mentre gioca con suo fratello e la saluta da donna quando torna sulla riva del lago di Bracciano, testimone fedele delle esperienze vissute. L’amicizia idealizzata e poi tradita, la “morbosa competizione dei corpi e degli sguardi” che regola i legami del vivere adolescenziale, la ricerca di affetto e di attenzione. Non serve molto tempo a Gaia per rendersi conto che, per restare a galla, deve rendersi interessante, anche a costo di mostrare insofferenza alle offese subite.
L’autrice si fa interprete e portavoce di una condizione che accomuna Gaia ai lettori, in particolar modo alle lettrici. Con lucidità e delicatezza descrive dinamiche che ogni donna riconosce di aver vissuto, in un modo o nell’altro, nel corso della propria vita. Tramite un uso attento delle parole e una scrittura ricca di elementi funzionali a favorire l’immedesimazione, ritrae in profondità i caratteri delle protagoniste. Ognuna di esse si fa esempio di problemi, sentimenti e istanze reali.
“Questo romanzo nasce per raccontare tre donne attraverso tre personagge a loro ispirate” spiega lei stessa in calce al libro. Donne vere che l’hanno guidata nella scelta dei soggetti da raccontare. La loro vita, insieme alla descrizione dettagliata dei luoghi e i riferimenti temporali dei primi anni 2000 che irrompono dallo sfondo, sono vie di accesso della realtà nella finzione.
Riemerso dalle acque il lettore ha condiviso con Gaia esperienze che hanno toccato il suo vivere. Il tuffo al di là della copertina lo ha cambiato. Il romanzo ha assolto il suo dovere.