“Le madri dei partigiani sono diventate leonesse perché la guerra dei figli è diventata la loro e questo le rendeva molto pericolose”
La scrittrice Benedetta Tobagi ha presentato a Jesi, lo scorso giovedì, il suo libro “La resistenza delle donne“, in un incontro aperto ai docenti e alla cittadinanza a Palazzo dei Convegni.
“Un libro con le note in fondo che ha vinto l’ultimo Campiello” ironizza l’autrice ospite dell’IIS Galilei nell’ambito del progetto “Frammenti dal Novecento” e parte della rassegna LibrInCittà.
Storica da sempre dedita al periodo dello stragismo, a cui ha contribuito con titoli come “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” (2009), “Una stella incoronata di buio. Storia di una strage” (2013), “Piazza Fontana. Il processo impossibile” (2019), nel suo ultimo libro, Benedetta Tobagi ricostruisce il periodo della Resistenza vissuto dalle donne. Protagoniste “invisibili” alle quali, nei libri scolastici viene dedicato al massimo un piccolo paragrafo di approfondimento, eppure fondamentali per il cammino di emancipazione vissuto dalla donna dal dopoguerra ad oggi.
Un lavoro che parte da inediti documenti fotografici e incontri con partigiane che hanno vissuto in prima persona l’esperienza della Resistenza. “Fa parte del genere della cosiddetta non-fiction narrativa – spiega l’autrice. Le fotografie sono l’ossatura del libro. Mi interessava avvicinare il lettore ad esse e farcelo danzare intorno“.
Racconta: “quando inizio a fare le ricerche e a lavorare a 360 gradi su questo materiale oceanico mi sembra da subito assurdo come esso non possa essere passato alla memoria collettiva. Non avevo grandi punti di riferimento e mi sono sentita liberata quando sono riuscita a trovare il primo libro sulle resistenza femminile scritto dalla partigiana Mirella Alloisio e Anna Bravo. Sono state le prime a raccontare il contributo femminile nella resistenza. Nell’introduzione al loro libro hanno scritto che la resistenza è stata per le donne un’esperienza gioiosa, da non richiudere nella tragicità“.
Da qui nasce l’intuizione di raccontare la storia per nuclei concettuali, dedicati ai modi di stare nella Resistenza delle nostre antenate. “Si tratta di una storia nella storia. Vado spesso nelle scuole e mi viene presentata la difficoltà di insegnare storia e parlare di storiografia ma questo particolare pezzo di storia ha molto potenziale. È fatto da donne per le donne ed è un bellissimo modo per far capire come il presente sia figlio del loro passato“.
Femminile combattente e maternage sovversivo
Vi è un tema, in particolare, che mette in luce il rapporto delle Donne della Resistenza con le donne di oggi. Un fil rouge che tocca determinate tematiche, parti di un percorso che inizia in quel momento e che non ha ancora raggiunto l’auspicato traguardo della parità.
“Le donne sono investite da quell’esperienza più di quanto loro in quel momento elaborino. Parlano di liberazione, che è una cosa diversa dall’emancipazione. In una fase embrionale vi è una presa di coscienza di temi femministi. Le donne entrano in un mondo dove sono a contatto con gli uomini. Lavorano insieme per una causa comune e in questa promiscuità riscoprono il loro potenziale attrattivo, di corpo sessuato che è esso stesso una bomba a mano, la capacità di essere combattenti in grado di uccidere o salvare vite, di difendere e impugnare un’arma“.
“E è proprio l’arma l’elemento che le mette sul piano di parità degli uomini. Un elemento maschile che per alcune diventa fonte di affermazione personale mentre i partigiani uomini vanno spesso a confidarsi con loro. Ai loro occhi infatti, non sono solo figli della patria da mandare a combattere ma sono persone che, anche se uomini, possono avere delle difficoltà e delle fragilità, che loro sanno riconoscere“.
Quello che incarnano è un maternage che fa paura, spiega l’autrice la termine dell’incontro. “La cura materna quando la metti al potere diventa sovversiva e, in quel momento, quel maternage arriva ad avere molto potere. Le donne prendono i maschi, tolgono loro le divise, li rivestono e dicono loro di fare quello che vogliono perché hanno deciso che non ne possono più di quella guerra e quindi sono scese in campo per salvarli. Sovvertono il potere dello stato. Le madri dei partigiani sono diventate leonesse perché la guerra dei figli è diventata la loro e questo le rendeva molto pericolose“.
Per questo, al termine della guerra, vengono cancellate. Una sorta di damnatio memoriae della resistenza che rimette le donne dentro le mura domestiche. Se questo, nell’immediato ha i suoi effetti, non basta a sopprimere quanto era nato in loro. “Nella prima pagina del libro scrivo: essere donna è avere la guerra dentro sempre” conclude Benedetta. Subito dopo, la storia le ha tradite ma il loro seme è germogliato e ha continuato a fare Resistenza per sovvertire patriarcato e fascismo. La qualità dell’antifascismo che emerge dalle testimonianze nel libro è molto forte perché non ha un’impostazione politica per formazione. Loro hanno prefigurato una società più giusta e entrano nella Resistenza per una vita migliore“, per loro e per le donne di oggi.