Incontro ad Osimo sul profilo femminile dei nostri tempi, caratterizzato da evoluzioni ed involuzioni
Nella giornata di domenica 19 marzo, presso la sala convegni delle Grotte del Cantinone di Osimo, si è parlato di donne e di rivoluzioni di genere. La libreria osimana La fonderia, in collaborazione con la Consulta Donne – pari opportunità, ha ospitato il convengo VOCE “FEMMINA”, rivoluzioni di genere.
Maria Nadotti ed Isabella Carloni, nello specifico, le personalità che hanno animato una discussione volta ad analizzare il “profilo dei nostri tempi, con le evoluzioni ed involuzioni che lo caratterizzano”. La prima – giornalista, saggista, consulente editoriale e traduttrice – si è avvalsa del dialogo con la seconda (di professione regista, attrice e autrice per il teatro) al fine di tratteggiare un quadro completo ed esaustivo delle tematiche trattate, che vedono la Nadotti impegnata attivamente ormai da parecchi anni.
“Una risvegliatrice di coscienze”: questa la definizione con cui Carloni ha presentato Nadotti, di cui ha descritto “l’entusiasmo e la passione di andare oltre le cose”, la voglia di far emergere “la polvere sotto al tappeto”.
Sesso e genere di Maria Nadotti, Il demone amante. Sessualità della violenza di Robin Morgan e Il femminismo è per tutti di Bell Hooks i tre saggi da cui ha mosso i passi il convegno, che ha visto le studiose impegnate in un’appassionata ed intensa riflessione sul femminismo, sulla mentalità patriarcale e la dualità di genere.
II movimento come antitesi al patriarcalismo: alcuni spunti
“Non solo siamo tante cose, ma siamo costantemente in mutazione”: è incominciato così l’incontro dedicato al femminile che, tra gli altri temi, ha toccato la questione del dinamismo e delle continue trasformazioni a cui l’essere umano, proprio in virtù del fatto di essere una “non cosa”, è costantemente sottoposto.
I tre saggi che hanno funto da combustibile al convegno sono andati incontro ad una sorte bizzarra: editi per la prima volta negli anni Novanta del Novecento, sono stati ripubblicati a distanza di circa vent’anni dalla prima messa in commercio. Per quale motivo, dunque, si è avvertito il bisogno di tornare ad una sorta di origine in termini di femminismo? Cosa motiva a radunarci, tutt’oggi, attorno a dei testi editi ormai parecchi anni fa, e come possono questi testi essere ancora attuali? O forse, la domanda che sarebbe più opportuno porsi è la seguente: cosa stiamo cercando?
Qualunque cosa si stia cercando – ha sottolineato la scrittrice e saggista – non la si troverà ostinandosi ad imboccare strade già battute, percorsi lineari che hanno inizio e fine sempre ed inesorabilmente nel medesimo punto. La messa in discussione delle idee, che Nadotti ritiene essere il presupposto di qualunque cambiamento che voglia dirsi davvero tale, non ha mai seguito e mai seguirà una “linea retta”. Al contrario, è il “vagare senza meta” che ci consente di scompaginare impianti di pensiero che, in realtà, non sono mai stati realmente prodotti da noi, quanto inculcati.
La “linea retta” a cui ha fatto riferimento Nadotti potrebbe essere interpretata proprio come quel “pensiero patriarcale, violento e autoreferenziale” che nega l’Altro, come tutto ciò che è deviante rispetto ad un Uno ego-riferito ed ego-centrico. Il patriarcalismo, ben lungi dall’essere un habitus meramente maschile, appartiene a chiunque, col proprio operato, tenti di replicare proprio quella linea retta che non consente deviazioni, seconde strade o situazioni che si discostino dalla norma.
In merito al rapporto tra maschile e femminile, Nadotti ha sottolineato quanto, dalla tematica, scaturisca inevitabilmente una “voragine”. Una voragine che percepiamo nel momento in cui incontriamo donne al potere che, pur di rivendicare la legittimità della propria posizione, finiscono per “trasformarsi lentamente in degli uomini”, laddove la parola «uomo», tuttavia, non è da intendersi come distinguo meramente biologico.
“Vero femminismo”: come riconoscerlo e in che modo attuarlo
Il vero femminismo, lascia trasparire la radicale e visionaria Bell Hooks, è innanzitutto da ricercare in una battaglia di contrasto ad ogni tipo di violenza. Non solo quella patriarcale, e non solo quella perpetrata nei confronti delle donne. Anche quest’ultime, insieme agli uomini, hanno infatti accettato ed alimentato l’idea che un gruppo dominante sia legittimato ad esercitare il potere sui dominati attraverso la forza. E sono le stesse esponenti del gentil sesso che, spesso e volentieri, si rendono colpevoli di atti violenti nei confronti dei loro figli. Sia donne che uomini, secondo il parere delle studiose, contribuiscono quindi al mantenimento di un regime di violenza.
Ciò che Nadotti ha inteso sottolineare a più riprese, in aggiunta, è quanto non esista un femminismo autentico, un femminismo che sia giusto insegnare alle nuove generazioni di femministe e femministi affinché se ne riesca a raccogliere finalmente i frutti. Il vero femminismo, ha puntualizzato la scrittrice, è esente da coordinate spazio-temporali e da epoche rispetto alle quali possa dirsi «corretto, in linea con i tempi».
Il movimento a favore delle donne nato negli anni Settanta, quello che molte studiose, tutt’oggi, tendono a definire come l’unico «autentico», in realtà era semplicemente un femminismo con connotati e caratteristiche relazionati alle problematiche di quella precisa epoca. Il femminismo di oggi, non necessariamente deve ricalcare le orme di quello precedente o riproporlo. Deve, al contrario, porsi in movimento e “cercare le proprie idee”, idee che rispecchino le esigenze e le questioni che infiammano il tempo presente: il tempo destinato a diventare “ieri” ma che, paradossalmente, potremmo trovarci a rivivere in qualunque momento proprio come se non fosse mai passato.
I temi dell’incontro
Il sesso e la sessualità, ha concluso Nadotti, andrebbero smantellate come categorie che ci determinano. Sono gli usi del corpo e del sesso, all’opposto, che interessano gli individui in quanto esseri umani. Usi che, a differenza di quella che è la prassi moderna, non dovrebbero divenire strumenti nelle mani della politica, prodotti di tecnologie scientifiche e sociali che mirano ad inquadrarci entro definizioni stringenti, del tutto limitanti ed insufficienti a rappresentare con efficacia la persona umana.
La tendenza alla categorizzazione, ad inserire gli individui in determinati “scompartimenti” piuttosto che in altri, andrebbe contrastata proprio con l’abbattimento di qualunque barriera atta a “contenerci”, a bloccare le infinite possibilità di espressione del Sé. Il porsi in movimento, la capacità di affrontare in maniera fluida ed incondizionata le situazioni, sono ben lungi dal poter essere determinati o indirizzati dal sesso. L’uso che ciascun individuo fa del proprio corpo, quello che impropriamente nominiamo come «sesso», non è affatto qualcosa che ci definisce o che, ancor peggio, dovrebbe arrivare a limitarci, costringendoci entro gli angusti spazi della “linea retta”.
Quale potrebbe essere, dunque, la soluzione ad un mondo che continua ad abbracciare la via della violenza, la strada della sopraffazione e dell’odio (razziale, sessuale, di genere)? Per Nadotti, il sentiero giusto da imboccare non è quello che idealizza l’essere umano e le sue più profonde, indicibili caratteristiche; al contrario, la giornalista ritiene che sia proprio “l’essere umano la causa di tutti i mali”.
Piuttosto, l’intuizione più appropriata in materia parrebbe essere proprio quella fornita da Donna Haraway, e cioè quella di imparare a vivere all’interno del fango e del disordine. “Staying with the Trouble” era il motto della filosofa, che in termini più crudi voleva spronare gli individui a “rendersi conto di essere nei guai fino al collo”. La vera sfida, dunque, sarebbe quella di imparare a gestire i problemi che si presentano nella quotidianità, imparare a vivere e a muoversi tra gli ostacoli e le difficoltà. Perché sono proprio i “mali” a scadenzare la vita di tutti i giorni, ancor più di quanto faccia la quiete.