Il fondatore di Still I Rise, Nicolò Govoni, protagonista del primo incontro organizzato dalla Fondazione Cardinaletti
In che mondo vivremmo se tutti i bambini avessero accesso ad un’educazione di eccellenza? Questa la domanda dalla quale, 11 anni fa, Nicolò Govoni inizia l’avventura che lo porterà a fondare Still I Rise. La sua storia e quella dell’associazione che, ad oggi, opera in Siria, Kenya, Congo, Colombia, Yemen e Grecia, con un progetto in fase di avvio anche in India, sono stati protagonisti di un incontro a Palazzo dei Convegni, lo scorso mercoledì.
In collegamento da Nairobi, Govoni ha preso parte al primo appuntamento organizzato dalla Fondazione Cardinaletti nell’ambito della mostra evento “Jesi e il ‘900 verso il 2050. Le farfalle arriveranno”. La sua presenza ha richiamato un numeroso pubblico di cittadini, insieme ai rappresentanti delle istituzioni locali, il sindaco Lorenzo Fiordelmondo ed il vicesindaco Samuele Animali, insieme al presidente della Fondazione Andrea Cardinaletti che ha sottolineato l’importanza di “Still I Rise” come una sorta di “faro per la nostra società contemporanea, dimostrazione di come il valore dell’inclusione sia fondamentale per la costruzione di un mondo migliore“.
In dialogo con il giornalista Giovanni Filosa, Govoni ha raccontato al pubblico la sua storia, dai tempi della scuola fino alla realtà che ad oggi porta il nome di Still I Rise nel mondo.
“Al liceo ero il classico ragazzo che combinava guai, che non c’è l’avrebbe fatta. Ero senz’altro vivace e non stavo alle regole ma in quel contesto ero finito con il credere a quello che mi veniva detto. C’è stata un’insegnante però – Nicoletta il suo nome – che, un giorno, mi disse di aver visto qualcosa in me ed è stata proprio lei ad appoggiarmi quando ho deciso di partire per l’India“.
Così – ha continuato Nicolò – a 19 anni parto dall’Italia, più per ragioni personali che per spirito di volontariato. Ero saturo dei fallimenti che mi ero cucito addosso e sono scappato. Dovevo fare 2 mesi di volontariato in questo orfanotrofio e alla fine mi sono trasferito. Ho fatto l’università in India e lì ho scoperto quell’ingrediente segreto che tutti gli esseri umani hanno bisogno di provare, ovvero il senso di utilità. Ho trovato la forza di scegliere chi volessi diventare e cosa volessi creare“.
Dal desiderio personale alla missione
La voglia di sentirsi utili si lega all’intuizione che ci riporta alla domanda in apertura. In che mondo vivremmo se tutti i bambini avessero accesso ad un’educazione di eccellenza? Così Nicolò decide di iniziare proprio dall’educazione, provando “a cambiare il mondo, un bambino alla volta“. I bambini sono i futuri uomini di paesi dimenticati, l’educazione è invece quella delle scuole dell’ elité. Quella alla quale possono ad oggi accedere solo lo 0,1% dei bambini del mondo.
“Abbiamo il privilegio – ha spiegato Nicolò – di essere i primi ad aver democratizzato l’International Baccalaureate, il metodo educativo costosissimo, fatto solo in scuole esclusive, costruite dall’elité per perpetuare se stessa“. Alla base c’è la volontà di scardinare tale equazione e offrire quel percorso di alta qualità ai bambini più vulnerabili del mondo, con l’obiettivo di formare la futura classe dirigente con una formazione prima di tutto umana. “Non solo futuri leader ma persone che un giorno avranno gli strumenti per costruire un futuro migliore. La scuola frequentata oggi dalla maggior parte degli studenti ti insegna ad obbedire e stare alle regole, è una scuola che forma persone che non pensano di farcela. Nelle nostre scuole mettiamo al centro il bambino e la sua autodeterminazione“.
Nelle scuole Still I rise
Cosa si trova entrando in una scuola Still I Rise? Viene chiesto a Nicolò:
“il percorso dura 8 anni e riguarda bambini a partire dai 9 anni di età. Si inizia con un anno preparatorio, poi un nucleo centrale di cinque anni ed infine l’ultimo biennio che prepara al diploma“.
Nelle aule, nessuna formazione a trincea, con l’insegnante da un lato e gli studenti disposti di fronte, sulle schiere di banchi.
“Se voi entraste in un’aula delle nostre scuole vedreste un alto livello di informalità, con ragazzini che si organizzano in modo autonomo. I tavoli sono spesso tondi e l’insegnante integrato tra i ragazzi perché all’interno del sistema educativo egli è un facilitatore che guida gli studenti verso la scoperta delle risposte“. Spesso la formazione esce dalle aule, all’aperto o in spazi comuni. Fino alle aree lettura dove i ragazzi entrano in relazione arricchendo il proprio percorso formativo.
Com’è possibile tutto questo?
Nicolò lo spiega rispondendo alla domanda conclusiva. “Dal 2018 abbiamo deciso di essere indipendenti da un punto di vista statuario. Rifiutiamo fondi statali e di multinazionali che non si allineano al nostro codice etico e questo ci costringe ad un grande impegno per trovare i fondi dato che, nella maggior parte dei casi, i fondi nel no-profit vengono soprattutto da governi e UE. Quest’anno dobbiamo raccogliere 4 milioni di euro e lo stiamo facendo con il passaparola. Ci sosteniamo grazie a persone normalissime, piccoli donatori che vedendo quello che facciamo decidono di investire. Il no – profit quando è fatto bene non è carità ma giustizia sociale ( citazione ripresa e trascritta anche all’interno della mostra). Non fai una donazione perché provi pietà per i bambini con le mosche in faccia ma perché investi in un futuro che credi possibile e vedi noi come coloro che possono contribuire a costruirlo“.
Tra l’85 e il 90% sono donatori individuali, per il resto sono aziende spesso piccole e familiari. “So per certo che non avremo mai potuto aprire scuole del genere con i fondi delle nazioni unite perché democratizzare l’educazione dell’elité sicuramente non rientra nei loro obiettivi“.
Da desiderio individuale, Still I Rise è oggi una grande famiglia che conta un centinaio di persone che lavorano insieme a Nicolò. Il progetto partito da Samos in Grecia oggi incontra i bambini di 6 paesi nel mondo, alimentato dalla volontà di raggiungerne ancora di più. “Il nostro obiettivo non è quello di accogliere tutti i bambini del mondo nelle scuole Still I Rise – ha concluso – ma offrire più scuole Still I Rise possibili ai bambini del mondo“.
Un modello che si declina in luoghi distanti tra loro, con esigenze sociali ed economiche differenti. Una qualità che lo rende un esempio anche per i paesi al centro del mondo che, forse, dovrebbero iniziare a prenderlo in considerazione, per il bene dei loro bambini, uomini di un futuro comune.