Saturday 4 May, 2024
HomeAccadde oggiLa storia di un sorriso, quando anche la spontaneità è cultura

Ogni primo venerdì di ottobre, si celebra nel mondo la Giornata del sorriso. Uno dei gesti spontanei per eccellenza. Protagonista di momenti felici o maschera per nascondere quelli tristi.

Ridi che ti passa” o “ridici su” si suol dire invocando il suo potere benefico di fronte alle difficoltà. Ma anche il sorriso, al pari di altri gesti, per quanto spontaneo è pur sempre un gesto culturale. Non si ride secondo natura ma si sorride secondo cultura, nei modi stabiliti dal luogo e dal tempo che si abita.

La compostezza di un sorriso greco

Il viaggio nella storia del simbolo della felicità per eccellenza, inizia, naturalmente, dalle nostre radici greche arcaiche. Le statue classiche ne sono un esempio. Divinità, guerrieri e fanciulle non sorridono mai se non con un enigmatico sorriso che lascia appena trapelare un sentimento a metà tra malinconia e serenità.

È stato definito “sorriso arcaico” e, in ragione della tecnica scultorea, è il risultato del tentativo dell’artista di rendere le labbra tridimensionali. Scolpendo, il modo migliore per definirle è inclinarle leggermente verso l’alto, ed ecco che le statue assumono l’inedita espressione. Ma al di là della tecnica, il sorriso rispecchia le norme sociali in materia di espressività. Come l’antica società greca prevedeva infatti, doveva coinvolgere minimamente il viso ed essere rigorosamente a bocca chiusa tra i membri dei ceti più alti. Il sorriso era un indicatore della posizione sociale occupata. Solo il popolo nei ceti più bassi sorrideva mostrando i denti, dimostrando così di non riuscire a controllare l’emotività.

La prassi era condivisa anche tra i Romani che, anche in ragione della mancanza di trattamenti per i denti mal posizionati, continuarono a ritenere appropriato il sorriso a bocca chiusa.

Il sorriso angelico di Beatrice

A dare una prima accezione positiva al sorriso il Sommo poeta. O almeno, fu colui che lo mise per iscritto nei celebri versi della Commedia: “Poco sofferse me cotal Beatrice e cominciò, raggiandomi d’un riso tal, che nel foco faria l’uom felice”; scrive nel VII canto del Paradiso.

Non descrive la forma del sorriso, non si trova più nel regno infernale della fisicità. In Paradiso il sorriso è angelico e diventa porta d’accesso alla figura della Donna Angelo. Il riso è l’elemento con il quale stabilire un contatto puro. Una via per comunicare.

Tanto che, la sensazione che il sorriso regala a Dante è di felicità. Un effetto terapeutico, come quello riconosciuto oggi, che regala sollievo di fronte alle sofferenze e segna la via verso la beatitudine.

Il sorriso rivoluzionario di Élisabeth

Il sorriso spontaneo, con i denti, come lo intendiamo oggi, affonda però le sue radici alla fine del Settecento. Più volte definito come “il sorriso dello scandalo“, la rivoluzione arriva con l’ultima opera di Élisabeth-Louise Vigée-Le Brun. Nella tela, una madre con suo figlio in braccio che sorride facendo intravedere i denti.

Nella raffigurazione classica del rapporto madre-figlio non era infatti prevista gioia e complicità. Lo sguardo delle madri era fisso verso lo spettatore, come se nulla potessero apportare più al bambino dopo averlo messo al mondo. In più, i denti nell’arte, sulla scia del pensiero antico, erano visti negativamente. Segno di una mancanza di controllo sulle emozioni.

Il dipinto così, presentato al Salone di Parigi fece scandalo, ma iniziò anche a suggerire una nuova accezione del gesto come espressione di un momento felice quale quello di condivisione tra madre e figlio.

La faccina gialla ed il sorriso di oggi

Oggi, l’icona del sorriso per eccellenza è sotto i nostri occhi quotidianamente. La faccina gialla con i due occhietti e la curva rivolta verso l’alto è stata disegnata dall’artista Harvey Ball nel 1963 con la volontà di diffondere nel mondo l’immagine di un sorriso che potesse diventare universale, in nome del buonumore e della felicità.

Al positivo simbolo culturale che continuò a potenziate l’accezione positiva e terapeutica del gesto, le tecniche e gli studi medici legati ai denti favorirono la diffusione di sorrisi belli e smaglianti.

Così da arcaici sorrisi a bocca chiusa, la cultura ha dato nei secoli un nuovo volto alla spontaneità. Non è più vietato “sorridere a 32 denti“, non è di cattivo gusto “sorridere senza controllarsi“, l’importante è farlo, senza pensarci troppo ed ogni giorno.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.