Wednesday 8 May, 2024
HomeAccadde oggiLa libertà di stampa ed il nobile ruolo del giornalista

All’interno del flusso di fatti ed informazioni, al giornalista spetta il nobile compito di raccontare ciò che accade. Il suo è uno sguardo privilegiato, critico. Capta il senso della realtà e lo ricostruisce per i cittadini.

Sono infatti i “cittadini” i suoi interlocutori, perché esso non potrebbe esistere se non all’interno di una comunità, di una cittadinanza, di uno spazio pubblico che, espletando la sua funzione civica, esso contribuisce a creare.

Per assolvere tale ruolo, il giornalismo esercita uno dei diritti fondamentali tutelati dalle Costituzioni liberali, ovvero la libertà di stampa.

Tutelata in America e in Europa, osteggiata nei paesi guidati da sistemi totalitari e dittatoriali, la libertà di stampa viene omaggiata nel mondo ogni 3 maggio.

Nel 1993 infatti, l’Assemblea Generale dell’Onu scelse di dedicare a tale diritto una giornata mondiale scegliendo questo giorno in ricordo del seminario “Promoting an Independent and Pluralistic African Press”, organizzato dall’UNESCO due anni prima a Windhoek, in Namibia. L’incontro, al quale furono presenti una sessantina di giornalisti africani, ebbe un’importanza fondamentale e portò alla redazione della Dichiarazione di Windhoek, un documento che, ispirandosi all’articolo 19 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, difende la libertà di stampa ed il pluralismo come elementi fondamentali per la tutela della democrazia.

Alle origini della libertà di stampa

Ripercorrere la genesi di tale libertà ci riporta ai pensatori liberali del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Un diritto dell’individuo fondato sulla legge di natura -con tutte le implicazioni che tale concetto porta con sé- considerato tanto fondamentale dai padri fondatori americani che la Costituzione alla quale danno vita nel 1789 lo tutela nel suo primo emendamento: “Il Congresso non promulgherà leggi (…) che limitino la libertà di parola, o della stampa“.

Una libertà che costituisce un pilastro della democrazia d’oltreoceano e che entra a far parte delle Carte fondamentali dei paesi democratici del mondo seguendo approcci differenti.

Da un lato, un approccio individualista la legge come un diritto soggettivo del giornalista, parte della più ampia libertà di espressione a prescindere dalla sua utilità sociale; dall’altro, una scuola funzionalista che la descrive come un diritto primario del cittadino, al quale deve essere garantita la conoscenza dei fatti.

In Italia, a garantirla è l’articolo 21 della Costituzione che, sulla scia della prima interpretazione, definisce la libertà di stampa come un diritto soggettivo assoluto di chi la esercita, del giornalista che viene tutelato dalla legge dopo le pesanti limitazioni che nel periodo fascista avevano limitato la sua libertà di espressione.

Nel 1984 però, una sentenza della Corte Costituzionale meglio conosciuta come “sentenza decalogo“, apre una prima finestra al diritto individuale del cittadino di mantenere la propria integrità e reputazione sociale. Designando come condizioni di notiziabilità di un fatto la verità delle vicende raccontate ed una loro corretta forma di esposizione, la sentenza mette per la prima volta in luce nel nostro paese il potere e l’utilità sociale del giornalista.

Là, dove non si conosce libertà di stampa

Lo scenario cambia drasticamente quando lo sguardo passa dai paesi democratici ai paesi che non lo sono.

Per il ruolo sociale del giornalista prima raccontato, proibire la libertà di stampa e di conseguenza limitare il racconto dei fatti ad una sola o ad alcuna interpretazione, ha effetti drammatici sulla popolazione. Ai cittadini non è concesso il diritto di conoscere ciò che accade, perdono la possibilità di scegliere cosa sia giusto o sbagliato.

Ed i giornalisti, rischiano la vita per raccontare. Una vocazione li guida a correre i rischi in nome della verità. Ogni anno, quando ricorre la Giornata mondiale della libertà di stampa, l’Organizzazione Reporter senza Frontiere diffonde un report che fotografa la situazione di libertà vissuta in 180 paesi al mondo.

La realtà ad oggi raccontata vede una situazione giudicata “molto grave” in 31 Paesi, “difficile” in 42, “problematica” in 55 paesi e “buona” o “soddisfacente” in 52 paesi. “In altre parole, l’ambiente per il giornalismo è “cattivo” in sette paesi su dieci e soddisfacente solo in tre su dieci“.

Al monitoraggio della libertà di informazione nel mondo, l’Organizzazione guarda anche ai giornalisti vittime di attacchi governativi, corrispondenti di guerra uccisi o incarcerati. Nel 2022, i giornalisti detenuti in ragione del lavoro da loro svolto in zone di guerra e persecuzioni, sono stati 460. 59 coloro che hanno perso la vita.

Da gennaio di quest’anno, in cinque mesi, sono 7 i colleghi uccisi, mentre in 83 risultano ad oggi detenuti.

Di fronte ai primi parlamentari della monarchia costituzionale sabauda, Cavour disse: “la libertà di stampa è qualcosa che produce meno danni di quanti ne deriverebbero in sua assenza“.

A quasi due secoli da tali parole, i dati continuano a testimoniare i danni di tale assenza. Un silenzio che mina il diritto dei cittadini di conoscere ciò che accade. Un silenzio che mette a tacere chi ha fatto del racconto della realtà la sua missione.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.