Saturday 4 May, 2024
HomeAccadde oggiAd un anno da “donna, vita, libertà”: l’apartheid di genere dei talebani contro le donne afghane

Quello che è accaduto nei due decenni successivi alla caduta del primo regime talebano, è stata la lotta delle donne afgane per ottenere i propri diritti.

Le donne hanno superato tutte le limitazioni che ostacolavano il loro cammino e alla fine hanno ottenuto risultati. È stato grazie a questi sforzi che si sono verificati cambiamenti significativi nella condizione delle donne in Afghanistan.

In questi due decenni, sono emerse donne coraggiose e determinate.

Nonostante in varie zone dell’Afghanistan permanessero violenza contro le donne, discriminazione di genere, negazione del diritto all’istruzione, matrimoni forzati e spose bambine, queste donne si sono fatte strada ed hanno camminato a fianco degli uomini.

Hanno studiato, lavorato e partecipato attivamente in tutti gli ambiti.

Tuttavia, con l’ascesa al potere del secondo regime talebano, tutti questi risultati raggiunti dalle donne in vent’anni sono andati distrutti.

La maggior parte delle donne istruite dell’Afghanistan, che non si aspettavano simili condizioni, con l’avvento di questa situazione imprevedibile hanno perso ogni speranza.

Alcune sono riuscite a lasciare il paese con l’aiuto di alcuni paesi esteri dopo la caduta del governo nelle mani dei talebani, ma la maggioranza è tuttora sotto la tortura dei talebani.

Con l’ascesa del secondo regime terroristico talebano, i talebani hanno introdotto come prima misura il confinamento delle donne nelle proprie case, attuando una politica misogina. In un primo momento hanno formato un governo monogenere, composto solo da uomini, ed hanno eliminato il Ministero per gli Affari Femminili dalla struttura governativa.

Successivamente, hanno vietato alle donne l’istruzione, il lavoro, gli svaghi, i viaggi, lo sport, la guida, l’ingresso nei ristoranti e persino l’uso di abiti colorati. Oggi le donne appaiono nei media solo coperte dal burqa e se hanno problemi di salute non possono recarsi da un medico senza la presenza di un uomo che sia il loro parente stretto.

Con questo regime terroristico, la vita delle donne afgane è stata fatta arretrare e le donne istruite dell’Afghanistan si sentono più che mai disperate.

Oggi in Afghanistan non esiste alcuna struttura legale per la protezione delle donne e per ascoltare le loro denunce.

Alcune donne rimaste in Afghanistan che hanno conservato uno spirito combattivo, hanno intrapreso una lotta per rivendicare i diritti delle donne.

Queste donne, che considerano istruzione, lavoro e libertà come diritti inalienabili per le donne afgane, hanno dato vita ad un piccolo fronte per i diritti delle donne nei giorni più bui della storia, di fronte al gruppo terroristico dei talebani.

In quei giorni, mentre la maggior parte degli uomini si nascondeva nelle proprie case per paura dei talebani, queste donne hanno continuato la loro battaglia.

La lotta delle donne contro quella che oggi viene definita apartheid di genere è iniziata nei primissimi giorni della rinnovata presa di potere dei talebani, con lo slogan “pane, lavoro, libertà” scandito nelle strade della capitale.

Questa lotta non era solo contro l’ideologia misogina dei talebani, ma anche contro i fucili, le frustate e le torture nelle prigioni talebane.

Le donne afgane sono state più volte minacciate, torturate e aggredite dall’intelligence talebana per aver violato le leggi talebane e organizzato proteste.

Il coraggio di queste donne ha dimostrato al mondo che le donne dell’Afghanistan di oggi non sono le donne silenziose di venti anni fa.

Forse è anche grazie agli sforzi di queste donne se oggi la maggior parte dei paesi del mondo non riconosce i talebani, sforzi pagati con la vita di queste donne, i loro amici e familiari.

In realtà, la politica dei talebani nei confronti delle donne afgane è un apartheid di genere.

Oggi le donne afgane chiedono che venga riconosciuto tale apartheid di genere.

Per questo, 50 attiviste per i diritti delle donne hanno chiesto alle Nazioni Unite, in particolare al Consiglio di Sicurezza, di riconoscere il regime talebano come un regime di apartheid di genere. Nonostante organizzazioni per i diritti umani e paesi europei abbiano più volte affermato che le politiche talebane contro le donne afgane costituiscono un apartheid di genere, finora nessun paese o organizzazione lo ha formalmente riconosciuto.

Di Shamim Frotan

Shamim Frotan, arrivata in Italia nell’estate del 2021 dopo la presa al potere dei talebani in Afghanistan, è una poetessa e giornalista afgana. Nel suo Paese scriveva per il «Hasht-e Subh Daily» e per il giornale «Rah-e-Madanyat» (“il sentiero della civiltà”), che lavora per promuovere i diritti umani e il rifiuto dell’estremismo e della violenza. Conserva con orgoglio il suo tesserino da giornalista, il suo sogno è poter lavorare per un giornale importante.

Autore

Giancarlo Esposto

Giornalista iscritto all’Ordine dei Pubblicisti dal 1985 – tessera n. 52020 - e scrittore. Ha all’attivo numerose collaborazioni con emittenti radio-tv e giornali su carta e online. Nel 2010 ha ricevuto la medaglia d’argento per i 25 anni di iscrizione all’Ordine, nel 2020 era nell’elenco dei premiati del Premio Giornalistico Nazionale Giuseppe Luconi. Come scrittore, dopo alcune pubblicazioni di sport, relative alla sua attività giornalistica e dedicate al vernacolo, si è dedicato alla narrativa, pubblicando 5 romanzi; il più recente "Anagramma di donne". Pochi mesi fa ha pubblicato il libro "Dal taccuino di un cronista", racconti di oltre trent'anni di giornalismo. Sportivo praticante fino a poco tempo fa, è stato sposato, vive con suo figlio, un cane, tre gatti e una tartaruga. Inoltre è parte attiva all’interno dell’Agenzia assicurativa Jesi 2.000. Una delle sue frasi preferite: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta.” (Fernando Pessoa).