Saturday 4 May, 2024
HomeAccadde oggi9 ottobre, 60 anni fa il disastro del Vajont

Ecco la valle della sciagura: fango, silenzio, solitudine e capire subito che tutto ciò è definitivo; più niente da fare o da dire. Cinque paesi, migliaia di persone, ieri c’erano, oggi sono terra e nessuno ha colpa; nessuno poteva prevedere”. Scrisse il giornalista Giorgio Bocca su Il Giorno l’11 ottobre 1963.

Quella della sciagura, del disastro, del dramma, è la Valle del Vajont dove, due giorni prima dell’uscita dell’articolo, il 9 ottobre alle 22.39, una frana è precipitata nella diga che dà il nome alla Valle.

270 milioni di metri cubi di terra e sassi si sono staccati dal sovrastante Monte Tok e sono precipitati nel bacino lacustre provocando un’onda tanto alta da scavalcare il muro della diga e distruggere la valle sottostante.

Al di sotto del muro ci sono cinque paesi ed i suoi abitanti. Vengono distrutti e la tragedia porta il nome di 1.917 vittime che non hanno potuto far nulla per salvarsi.

I giornali ne parlano sin da subito come una tragedia naturale, una “sciagura pulita” citando Bocca. Una catastrofe da poter solo piangere a causa di una “Natura crudele“, come la descrive Dino Buzzati in un celebre articolo apparso su Il Corriere della sera.

In realtà, da giorni prima, l’Impresa proprietaria dell’impianto, la Sade, aveva iniziato ad abbassare l’acqua della diga favorendo, come poi verrà scoperto, la creazione della frana. Strane anomalie lungo il pendio, come cambi evidenti della conformazione dei terreni e alberi piegati verso valle, avevano iniziato a preoccupare gli stessi abitanti.

L’opinione pubblica si divise tra chi invocava la fatalità e chi, invece, sospettava la responsabilità umana sulla tragedia. L’epilogo della vicenda giudiziaria, nel 2000, confermerà i dubbi dei secondi.

Emergerà infatti come la Sade, non abbia tenuto conto dei rischi di franosità del terreno in fase di costruzione della diga, ignorando anche la sismicità della zona. Inoltre, richieste di intervento vennero sollevate per anni rimanendo però, pressoché ignorate.

La Cassandra del Vajont e la “tragedia annunciata”

Una prima frana, aveva interessato ad esempio l’area tre anni prima. A farsi portavoce del rischio di un disastro sulla stampa, fu la giornalista e partigiana Tina Merlin, soprannominata per questo “la cassandra del Vajont“.

Raccontò la frana del 4 novembre del 1960, staccatasi dal Tok dopo che l’acqua aveva raggiunto quota 650 metri. Insieme all’evento geologico, denunciò anche la scelta della Sade di aumentare la portata del bacino nonostante la conoscenza dei rischi, forte del sostegno dello Stato e del ministero dei Lavori pubblici per ottenere le autorizzazioni.

Nel 1963, il terzo collaudo nel quale l’acqua venne portata a quota 715 metri. In quei mesi, l’Enel stava acquisendo la società con la necessità di effettuare in fretta i collaudi. Così, ad aprile la portata venne alzata rapidamente mentre, nel mese di settembre, scosse telluriche dal monte fecero optare per un lento svuotamento del lago e l’evacuazione della zona montuosa ma non delle valli sottostanti che, il 9 ottobre, vennero sommerse.

Il 29 novembre del 1968 saranno processati 11 imputati per disastro e omicidio colposo. Nel 1975 iniziò invece il processo civile che si concluse nel 1999 con la condanna della società Montedison al risarcimento di 77.000 miliardi di lire.

Nel 2008, un documentario dell’ONU definirà quella del Vajont come uno dei peggior disastri tra le tragedie evitabili dall’uomo.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.