“T’ho incrociata alla stazione
che inseguivi il tuo profumo
presa in trappola da un tailleur grigio fumo
i giornali in una mano e nell’altra il tuo destino
camminavi fianco a fianco al tuo assassino” .
Una stazione, Bologna, ed una ragazza come tante presenti quel 2 agosto 1980 in attesa sui binari.
Tra realtà e allegoria, i noti versi di De André sono un riferimento a quella mattina. Sono le 10.25 quando una valigia lasciata nella sala d’attesa della stazione di Bologna esplode. L’ala Ovest dell’edificio crolla. Rimangono uccise 85 persone e in 200 vengono feriti dal tritolo e dalla nitroglicerina esplosa.
Nei libri di storia, la strage viene raccontata come l’ultimo atto della “strategia della tensione“. Negli anni Sessanta, nuovi gruppi rivoluzionari neofascisti nacquero alla destra del Movimento Sociale Italiano, pronti a colpire, non più vertici del potere o il cuore dello stato, ma luoghi affollati. Un terrorismo indiscriminato , chiamato anche “stragismo” che nessuno rivendicava politicamente perché l’obiettivo era scaricare la responsabilità sulla sinistra e spostare l’elettorato a destra.
L’esordio a Piazza Fontana il 12 dicembre 1969, dove in 17 morirono ed in 105 rimasero feriti. Poi una bomba esplose sul treno Freccia del Sud a Gioia Tauro nel luglio del 1970, un attentato colpì la questura di Milano nel ’73 e una bomba venne posizionata a Piazza della Loggia a Brescia nel maggio del 1974. Proprio come quella sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro nell’agosto dello stesso anno.
Ed infine Bologna, 43 anni fa. Faceva caldo, le famiglie attendevano il treno per andare in vacanza. L’estate preannunciava risate e momenti di spensieratezza. Ma non erano liberi come credevano. Qualcuno aveva deciso per loro che quella sarebbe stata l’ultima mattina vissuta. Erano mezzi per giustificare fini di altri. E non lo sapevano. “Con i giornali in una mano ed il loro destino nell’altra” hanno “camminato al fianco del loro assassino“, poi la loro libertà è stata violata, fatta a pezzetti, proprio come Bologna. Come la storia italiana, che ogni anno ricorda una delle sue cicatrici più profonde.