Saturday 4 May, 2024
HomeAccadde oggi16 marzo 1978. Quarantasei anni dalla strage di Via Fani

Alle 8.55 del 16 marzo 1978, Aldo Moro parte dalla sua casa in Via del Forte orientale verso Montecitorio, dove deve recarsi per votare la fiducia al Quarto governo Andreotti. Con lui ci sono l’appuntato Domenico Ricci e il maresciallo Oreste Leonardi, seguiti dagli altri uomini della scorta Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.

Le auto imboccano Via Fani fino all’incrocio con Via Stresa dove una Fiat bianca blocca loro la strada.

Inizia un attacco armato. Gli uomini della scorta finiscono a terra e Moro viene rapito.

Da quel momento un conto alla rovescia di 55 giorni terrà con il fiato sospeso il paese ed il mondo politico, fino al ritrovamento del corpo di Aldo Moro.

Da una parte gli stragisti…

Appresa la notizia, l’Onorevole Andreotti nell’aula di Montecitorio dirà: “l’imboscata tesa stamane all’onorevole Moro ed il rapimento del nostro collega, pone angosciosi quesiti al nostro animo e rafforza in ognuno di noi la totale dedizione al servizio della Repubblica per rimuovere, al limite delle umane possibilità, questi centri di distruzione del tessuto civile della nostra nazione“.

I centri di distruzione del tessuto civile” citati da Andreotti sono i protagonisti dei cosiddetti “anni di piombo” italiani. Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’80 alcuni gruppi armati nati ai lati estremi degli schieramenti di destra e sinistra, si rendono artefici di stragi e lotte armate.

Sul versante di destra, gruppi neofascisti, come Avanguardia Nazionale e Ordine nuovo, misero in atto un terrorismo indiscriminato, volto a colpire luoghi affollati come Piazza Fontana o la Stazione di Bologna, ma senza un obiettivo mirato. La cosiddetta “strategia della tensione” aveva lo scopo di generare terrore, incolpare la sinistra e spostare l’elettorato a destra.

Dall’estrema sinistra d’altro canto, i gruppi armati avevano obiettivi mirati e agivano per colpire personalità specifiche del mondo politico, industriale ed intellettuale del tempo. Tra di essi, le Brigate Rosse, nate nel 1970, giocarono un ruolo specifico nella storia politica del paese.

Artefici del sequestro del magistrato Mario Sossi nel 1974, di brevi rapimenti dei dirigenti di Fiat e Alfa Romeo, del magistrato di Genova Francesco Coco e di vari attacchi ad importanti giornalisti del tempo, le Brigate Rosse provocarono circa 130 vittime in meno di dieci anni.

Il culmine della loro attività venne toccato proprio con il rapimento di Moro del 16 marzo.

…dall’altra le luci e le ombre della politica italiana

La storia del Partito Comunista italiano volge ad importanti cambiamenti nel corso degli anni ’70. Uno dei protagonisti di tale svolta fu Enrico Berlinguer che, eletto segretario del partito nel 1972, proporrà uno storico compromesso tra comunisti, cattolici e socialisti.

L’allontanamento dal modello sovietico avvicinò il PCI ad una politica di integrazione europea conquistando nelle elezioni del 1976 il 34% dei voti. A questo punto, la DC non poteva non coinvolgere il PCI nella formazione del governo.

Sarà proprio Aldo Moro, eletto segretario della DC nel 1959, a farsi garante dell’affidabilità del PCI di Berlinguer come parte del nuovo governo che sarebbe dovuto nascere il 16 marzo.

Quando Moro venne rapito, le Brigate Rosse chiesero la liberazione di alcuni brigatisti e il riconoscimento politico da parte dello stato.

I membri della DC e del PCI si divisero tra chi era a favore di una trattativa e chi invece si schierava a sostegno di una “linea della fermezza“; scelta che alla fine prevalse.

Di fatto non vi sarà nessuna trattativa per la liberazione di Moro ed il suo corpo verrà ritrovato il 9 maggio in Via Caetani, vicino alla sede del PCI.

Il funerale di stato senza il morto

Seguendo le volontà dell’onorevole che lasciò scritto di non volere un funerale di stato alla sua morte, la famiglia celebrò il rito in forma privata.

Le autorità politiche ed il Pontefice si riunirono così il 13 maggio a San Giovanni in Laterano per celebrare, per la prima volta nella storia, un rito funebre senza la salma del defunto.

Il “Caso Moro” continua ancora oggi ad essere accompagnato da luci ed ombre. Interrogativi irrisolti che probabilmente resteranno nell’ombra, mentre il suo rapimento ha segnato uno spartiacque tra Prima e la Seconda repubblica.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio.