Il 29 giugno 1978 nacque a Recanati Giacomo Leopardi.
Celebre per il suo pessimismo vive nella mente di tutti noi attraverso i suoi versi più noti, retaggio delle recitazioni a memoria dei tempi della scuola. È il poeta dell’Infinito, del “sempre caro mi fu quest’ermo colle”, di “Silvia, rimembri ancor quel tempo della tua vita mortale” e della donzelletta che “vien dalla campagna in sul calar del sole” recando in mano rose e viole.
Cresciuto nel “natio borgo selvaggio” sotto la rigida guida del padre e conte Monaldo, il giovane Leopardi trova rifugio nella biblioteca delle sue mura domestiche. Le mura di casa si fanno alte ed invalicabili, la stessa Recanati sarà una prigione dalla quale il Leopardi ventunenne proverà a scappare per la prima volta.
Insieme alla sua solitudine coltiva anni di studio “matto e disperatissimo” che compromettono le sue condizioni di salute già in fase di crescita. Riesce ad allontanarsi dal borgo marchigiano nel 1822 e conosce col passare degli anni varie realtà italiane come Roma, Milano, Bologna e Pisa.
Torna a Recanati nel 1828 per un periodo buio e cupo in cui però vengono alla luce alcuni dei suoi componimenti più noti come Il passero solitario, Alla lune e Il sabato del villaggio. Si risposta due anni più tardi.
Va a Firenze dove conosce l’amico Antonio Ranieri. È con lui che nel 1833, per migliorare le proprie condizioni di salute andrà a Napoli dove, in una villa alle pendici del Vesuvio, comporrà i suoi ultimi canti La ginestra e Il tramonto della luna.
Dal colle dell’Infinito il poeta che parlava Alla luna
Parte de I Canti, Alla Luna è sorella del componimento più famoso di Leopardi L’Infinito. In entrambi infatti, il poeta parla dal famoso colle, luogo dei ricordi e della riflessione.
L’atmosfera è quella di un notturno lunare e Leopardi, pieno d’angoscia parla alla luna come fosse umana, mentre gli occhi sono offuscati dal pianto.
“O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile, O mia diletta luna”
La luna è testimone graziosa della sofferenza del poeta. C’è sempre stata, soprattutto nei periodi più bui, dal colle pronta ad ascoltare le parole del poeta. Una presenza positiva, così come è positivo il potere del ricordo, “la ricordanza“, in grado di far rivivere agli uomini, se pur per brevi momenti, ciò che appartiene al passato.
“E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!”