In ogni cultura umana, l’altitudine indossa una una veste simbolica e spirituale che la identifica come il luogo dove l’umano incontra il divino. La vetta in particolare rappresenta il limite tra terra e cielo, il posto dove trovare pace e bellezza, indipendentemente dalla fede professata.
Sulla cima delle montagne europee, dopo il secondo conflitto mondiale vennero innalzate grandi croci, costruite in modo tale da resistere alle intemperie e ai secoli, simboli di pace ed unione. Una presenza diventata con gli anni una certezza, che porta ognuno di noi ad aspettarsi una croce sulla vetta, ogni volta che scegliamo di salire in montagna.
Negli ultimi giorni però, un dibattito tra il Club Alpino Italiano ed il mondo politico ha portato le croci dalle vette alle prime pagine, accompagnate dalla notizia (poi smentita), che non si sarebbero installate più croci in futuro.
Dal convegno una “cruciale” questione: “Ha senso continuare ad installare sulle cime il simbolo religioso?”
Tutto ha avuto inizio da un convegno all’Università Cattolica di Milano lo scorso giovedì, dedicato al libro di Ines Millesimi “Croci di vetta in Appennino”.
Tra i relatori, il Monsignor Melchor José Sànchez de Toca y Alameda, il professore di diritto dell’Università Cattolica Marco Valentini e lo scrittore Marco Albino Ferrari all’incontro come rappresentante del CAI.
Dal loro dialogo è emersa un’importante riflessione incarnata dalla domanda: “Ad oggi, ha ancona senso continuare ad installare sulle cime il simbolo religioso?”
Nel corso dell’incontro, “si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso – ha scritto Ferrari in proposito su un editoriale pubblicato nella rivista Lo Scarpone – una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime“.
La dichiarazione ha scatenato la reazione della destra, con il Ministro del Turismo Santanché che, prontamente scesa in campo per difendere la cultura e il passato della nazione, ha definito “inaccettabile la decisione del Cai“, aggiungendo che “un territorio si tutela fin dalle sue identità e l’identità delle nostre comunità è fatta anche di simboli“.
Insomma, una questione “cruciale” che ha schierato da una parte, i sostenitori di una riflessione nata da un dibattito di cui il Cai e Ferrari si sono fatti portavoce, dall’altra, i valori politici al governo.
Le scuse del Cai
Alla fine, tutto si è risolto pacificamente. A chiarire la sua posizione e ad avanzare delle scuse è stato il Presidente Generale del Club Alpino Italiano Antonio Montanari che, in una nota stampa, ha scritto:
“Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce.
Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”.