Il 22 maggio 1978, vengono pubblicate in Gazzetta Ufficiale le “Norme per la tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza“, racchiuse dalla nota Legge 194.
Dopo quarantacinque anni dalla sua entrata in vigore, la Legge continua ad essere al centro del dibattito politico e sociale. Dovrebbe tutelare il diritto di una donna di interrompere una gravidanza, stabilire quali sono le possibili procedure da seguire, un punto di riferimento per prendere una decisione intima e personale in sicurezza. Eppure, il testo permette dubbi e contraddizioni su una tematica delicata ed importante, mentre la società rilegge i valori di emancipazione, maternità e famiglia.
Gli anni Sessanta, terreno di scontro tra Chiesa e Stato
Negli anni Sessanta, inizia un dibattito sull’aborto condiviso sul piano Internazionale. I Movimenti di emancipazione femminile in Europa e negli Usa danno vita a realtà importanti. Esempi per il nostro paese, dove il Movimento di Liberazione della Donna e l’Unione donne italiane, iniziano a chiedere la legalizzazione e la depenalizzazione dell’aborto.
A differenza degli altri paesi Europei però, l’Italia ha la forte presa di posizione della Chiesa da contrastare. Basti pensare che , nel ’68, anno simbolo dei movimenti per la richiesta dei diritti individuali, papa Paolo VI, nell’enciclica Humanae vitae, ribadisce il divieto alla contraccezione. Ma tale chiusura era parte anche della “laica” legislazione italiana, che fino al 1971 vieterà l’uso degli anticoncezionali, e continuerà ad interpretare l’aborto secondo disposizioni di epoca fascista tramandate dal noto Codice Rocco, per il quale l’aborto era punibile dai due ai cinque anni di carcere, in quanto “delitto contro l’integrità e la sanità della stirpe“.
Dal processo a Gigliola Pierobon…
Uno dei momenti sociali più importanti dell’iter verso la legge 194, ha visto protagonista la giovane Gigliola Pierobon. È il 1973 quando la ventitreenne di San Martino di Lupari inizia il suo processo in seguito alla sua dichiarazione pubblica di aver abortito cinque anni prima, a diciassette anni. Il processo dura tre giorni e costituisce l’esempio concreto dell’inadeguatezza del Codice Fascista ancora in vigore.
Viene raccontata la sua storia, l’aborto nel 1967 avvenuto clandestinamente in una casa e seguito da un’importante infezione. Nel 1972 grazie alla militanza nel gruppo Lotta Femminista, si rende conto che il suo trascorso era comune a molte donne costrette a ricorrere all’aborto clandestino, decidendo così di farne un punto di partenza per una lotta politica e sociale.
Il caso voleva in questo caso mettere in evidenza l’inadeguatezza della legge sbagliata e contribuire al cambiamento. Nonostante l’attenzione mediatica, il 7 giugno del 1973 Gigliola viene dichiarata colpevole, e condannata ad un anno di carcere. Ma la sua storia ha dato l’imput per una mobilitazione collettiva importante, fonte del cambiamento legislativo portato dalla legge del 1978.
…alla Legge 194
Con 160 voti da comunisti, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali e Sinistra indipendente, il 18 maggio del ’78 viene promulgata la Legge 194. Secondo la nuova normativa, l’aborto non era più perseguibile penalmente in presenza di determinate condizioni di salute, sociali, economiche o familiari.
Il diritto a fondamento della legge era l’autodeterminazione della donna, ma per incontrare la volontà dei cattolici il legislatore riconobbe anche il diritto all’obiezione di coscienza. Una scelta che venne considerata sin da subito un’importante contraddizione.
Al di là di piccole modifiche, come quella effettuata nel 2018 (preceduta dall’inserimento nel codice penale del reato di “interruzione colposa di gravidanza” e di “interruzione di gravidanza non consensuale”), la legge è arrivata ai nostri giorni quasi identica alla sua versione originale.
Come allora, la questione legata all’obiezione di coscienza continua di fatto a rappresentare uno dei maggiori problemi dell’aborto in Italia. In media infatti, sono più del 60% i medici obiettori in Italia, con situazioni particolarmente difficili in alcune Regioni come le Marche. La preziosa tutela del diritto di aborto in tutti i servizi sanitari, continua ad essere messa alla prova dalla possibilità di trovare un medico disposto a farlo.
Il diritto di ogni donna continua ad essere messo in discussione.