27 giugno 1980. Il volo di linea Itavia IH870 partito da Bologna e diretto a Palermo scompare dai radar alle 20:59, precipitando nel Mar Tirreno tra le isole di Ustica e Ponza. A bordo c’erano 81 persone, tutte decedute. Quella che inizialmente fu definita una “tragedia inspiegabile” è oggi considerata una delle pagine più oscure della storia della Repubblica Italiana.
A distanza di 45 anni, nonostante condanne civili, inchieste giornalistiche, desecretazioni e ricostruzioni tecniche, molti nodi restano irrisolti. Ma su un punto la giustizia ha fatto chiarezza: l’aereo fu abbattuto.
Una verità giudiziaria: l’aereo fu colpito
Negli anni, le analisi radar, i frammenti recuperati e le testimonianze hanno portato alla conferma che l’Itavia fu vittima di un attacco missilistico in un contesto di guerra aerea non dichiarata. Nel 2007, fu l’ex presidente Francesco Cossiga – all’epoca della tragedia presidente del Consiglio – a dichiarare pubblicamente che il DC-9 fu colpito per errore da un missile francese, destinato probabilmente ad abbattere l’aereo su cui si sospettava viaggiasse il leader libico Muammar Gheddafi.
Anche la Cassazione ha stabilito che vi fu una grave omissione di controllo da parte dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti, riconoscendo un risarcimento multimilionario alle famiglie delle vittime.
Depistaggi, reticenze, silenzi
L’inchiesta giudiziaria che seguì la strage fu ostacolata da una lunga serie di depistaggi e documenti scomparsi. Radar non funzionanti, registrazioni cancellate, pagine di registri strappate: tutti elementi che hanno ritardato la verità per decenni.
Nel 2000 furono imputati quattro generali dell’Aeronautica per “concorso in attentato contro gli organi costituzionali” per aver ostacolato le indagini. Dopo sette anni, furono assolti. Ma il sospetto che apparati dello Stato abbiano deliberatamente nascosto la verità resta fortemente presente nell’opinione pubblica.
Il contesto: una guerra nei cieli italiani
Quel 27 giugno, sui cieli del Tirreno si incrociavano caccia NATO, aerei francesi, americani e forse libici. Ufficialmente, non vi era alcuna operazione militare in corso. In realtà, i cieli erano tutt’altro che sotto controllo. A confermare l’ipotesi di un attacco missilistico sono anche le presenze radar rilevate nelle stesse ore in diverse basi italiane.
A complicare la vicenda, la scoperta – tre settimane dopo – di un MiG-23 libico precipitato sulla Sila, in Calabria. Un altro mistero mai chiarito del tutto, ma che secondo diverse fonti sarebbe collegato direttamente alla dinamica dell’incidente.
Il Museo della Memoria e la battaglia dei familiari
Oggi il relitto del DC-9 è esposto al Museo per la Memoria di Ustica a Bologna. Una presenza fisica e dolorosa, simbolo della battaglia portata avanti dai familiari delle vittime, guidati dall’associazione presieduta da Daria Bonfietti, ex senatrice e sorella di una delle vittime.
“È stata scritta una verità giudiziaria importante – ha ribadito più volte Bonfietti – ma la verità politica e storica completa deve ancora essere detta apertamente da tutti gli Stati coinvolti”.
A 45 anni dalla tragedia: cosa sappiamo davvero?
Nel 2014 la desecretazione degli atti ha contribuito a chiarire parte della ricostruzione: l’aereo fu abbattuto, nel mezzo di un’operazione militare internazionale non dichiarata. Tuttavia, nessun governo straniero ha mai ufficialmente riconosciuto responsabilità, né sono stati individuati i responsabili materiali del lancio del missile.
Quel che resta, oltre al dolore dei familiari e alla memoria delle vittime, è l’insegnamento tragico di quanto possa costare il silenzio delle istituzioni. Ustica non è solo un disastro aereo: è un simbolo di verità negate, una ferita ancora aperta nella storia democratica del nostro Paese.