“Perché non si potrebbe, pensai, prender la serie de’ fatti da questo manoscritto, e rifarne la dicitura?” si chiede Manzoni nell’introdurre i suoi Promessi Sposi. Un espediente letterario, quello del manoscritto ritrovato, che portò fortuna ad un’opera oggi tra i capisaldi della letteratura italiana. Chissà se esso, porterà la stessa fortuna anche alla ritrovata opera del giovane Spontini, favorita a maggior ragione dal fatto che, quello del manoscritto ritrovato non è in questo caso solo un espediente, ma la pura realtà dei fatti?
Già, perché la storia del ritrovamento de “I quadri parlanti” è già di per se un’opera affascinante da riprodurre. Rappresentata per la prima volta nel 1800 al Teatro Carolino di Palermo, è stata ritenuta perduta per oltre due secoli. Un componimento del giovane Spontini di cui si aveva notizia della messa in scena ma non più del contenuto. Almeno fino al 2016 quando venne eccezionalmente ritrovata nel Castello d’Ursel nelle Fiandre. Di lì è giunta nelle mani della Fondazione Pergolesi Spontini che, per la prima volta in epoca moderna l’ha rimessa in scena, lo scorso 29 novembre.
Dramma giocoso che elogia “diletto” e “piacer”
Se il manoscritto ritrovato da Manzoni conservava “traggedie d’horrori, e scene di malvaggità grandiosa“, lo stesso non si può dire per quanto ritrovato nel Castel d’Hursel. Il ventenne Spontini sceglie infatti di comporre un “dramma giocoso” che mette al centro intrecci, intrighi e amori nascosti. La trama segue le vicende di giovani innamorati e le fa sviluppare all’interno delle mura domestiche della casa di Don Bertoldo. Il tocco di genialità è dato dai quadri che, animandosi, intervengono nella vicenda con consigli e ammonimenti. Elementi fantastici che richiamano le opere comiche magiche di Paisiello e Mozart, come Il flauto magico, dove il soprannaturale funge da catalizzatore per il cambiamento e la crescita dei personaggi.
In un circuito di situazioni che colorano le diverse stanze, la trama si risolve in un lieto fine collettivo, dove le tre coppie scaturite dalla vicenda possono convolare a nozze. Niente drammi o moralismo dunque, a risolvere la vicenda vi è un elogio ad un sentimento leggero che, proprio per il suo essere tale, è in grado di risolvere imprevisti e sanare liti. L’elogio nel finale corale: “Dunque il cor ci balli in petto, e affrettiamoci a goder, Che per tutto v’è diletto, Che per tutto v’è piacer. L’accortezza, e la sciocchezza, la saggezza e la pazzia, fan del mondo la bellezza, per chi ben la sa veder“.
Il servo, scaltro protagonista di palchi antichi
I personaggi, ben delineati anche nella musica, rappresentano archetipi del teatro buffo: il giovane innamorato, il borghese severo e il servo scaltro. Quest’ultimo in particolare, è il personaggio in grado di ricordare al pubblico la fortuna millenaria di un personaggio che, se nella scala sociale è relegato al servizio dietro le quinte, sul palco risolve la storia e diventa protagonista. Già nel teatro di Plauto il servo è la figura centrale della commedia grazie alla sua capacità innata di governare la beffa che gli permette di governare l’andamento degli eventi.
Una dote che si manifesta con l’abilità, ad esempio, di vestire i panni di qualcun’ altro ingannando gli altri personaggi, o nella capacità di leggere la situazione da un punto di vista estraneo alla maggioranza, più critico e più lucido, dunque in grado di dispensare la morale della storia. Una figura, quella di Menicuccio, che per certi versi ricorda la Despina di Così fan tutte, versatile e “pulutropon”, voce di un contemporaneo sentimento, che vince i secoli.