Con una nuova interpellanza depositata in Consiglio regionale, i gruppi consiliari del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle, a prima firma della consigliera Manuela Bora, tornano a chiedere alla giunta regionale guidata da Francesco Acquaroli un adeguamento alle più recenti linee guida ministeriali del 2020 per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica. In particolare, viene sollecitata la piena applicazione dell’articolo 15 della Legge 194/78, che prescrive l’utilizzo di tecniche moderne, meno invasive e rispettose dell’integrità psicofisica della donna.
La situazione critica delle Marche
Nonostante nel resto d’Italia molte regioni abbiano aggiornato i protocolli per l’IVG farmacologica, nelle Marche è ancora in vigore un protocollo sperimentale datato 2016, eredità della precedente giunta di centrosinistra. Tale protocollo limita l’accesso alla RU486 fino alla settima settimana di gestazione, contro le nove settimane previste dalle linee guida ministeriali, e non consente la somministrazione del farmaco in regime ambulatoriale o domiciliare, come avviene in molte altre regioni.
Secondo Bora, l’atteggiamento della giunta Acquaroli rappresenta una posizione ideologica e arretrata, che non solo ostacola la libertà di scelta delle donne, ma provoca disagi inutili, costringendo molte a optare per l’aborto chirurgico o a rivolgersi a strutture sanitarie fuori regione. Ciò comporta anche un aumento dei costi per il Servizio Sanitario Regionale.
Obiezione di coscienza e depotenziamento dei consultori
Un ulteriore problema riguarda l’alto tasso di obiezione di coscienza, che nelle Marche supera il 70%, rendendo già di per sé complesso l’accesso all’IVG in generale. La situazione è aggravata dal depotenziamento dei consultori pubblici, uno dei punti più contestati della riforma sanitaria regionale promossa dalla giunta Acquaroli.
Bora denuncia come, in queste condizioni, l’accesso al metodo farmacologico sia quasi impossibile, obbligando molte donne a cercare soluzioni fuori dai confini regionali. “Le Marche non possono continuare a rimanere ancorate a politiche arretrate, che aggravano il disagio delle donne e ne limitano la libertà di scelta“, ha dichiarato la consigliera.
Un confronto con il resto d’Italia
Il quadro nazionale appare decisamente più avanzato rispetto alla situazione marchigiana. La maggior parte delle regioni ha implementato la somministrazione della RU486 in regime ambulatoriale fino alla nona settimana di gestazione e, in alcuni casi, consente anche la prescrizione domiciliare della seconda dose del farmaco. Queste modalità, supportate da dati scientifici, sono riconosciute come sicure, meno invasive e più rispettose della salute delle donne, riducendo la necessità di interventi chirurgici.
Un appello al cambiamento
Per Manuela Bora, è fondamentale che anche le Marche si adeguino agli standard nazionali:
“Contestiamo le posizioni ideologiche della giunta Acquaroli, che limitano la libertà delle donne sul proprio corpo e aumentano le sofferenze legate a un percorso già difficile. È tempo di garantire alle donne metodi avanzati, sicuri e meno invasivi per l’interruzione di gravidanza, come previsto dalle leggi e dai protocolli scientifici più aggiornati.”
L’interpellanza lancia un appello affinché la giunta regionale metta da parte ogni approccio ideologico e si impegni a garantire una sanità pubblica che rispetti i diritti e le scelte delle donne, favorendo soluzioni più moderne e rispettose della loro dignità.