La storia a lieto fine di un campione del calcio
L’ex juventino si racconta, in occasione di un evento organizzato da Alberto Bucci, titolare della Locanda Hostaria della Posta di Castelplanio, iniziato con una lettura, un brano tratto dal libro “Tra la Champions e la libertà”, Cairo Editore.
“In via Cibrario mi trovo a un incrocio della mia storia. Fermo a un semaforo, vedo da una parte l’Ospedale Maria Vittoria, dove sono nato. Dall’altra la chiesa di Sant’Alfonso, dove mi sono sposato nel ’92 con Adriana. Due momenti fondamentali, accaduti a non più di dieci metri uno dall’altro. Scatta il verde e riparto ma una macchina con tre poliziotti in borghese mi sbarra la strada, questi scendono e in un lampo mi ritrovo in manette.”
«Dieci maggio 2006, una data che sicuramente non dimenticherai per tutta la vita.»
«Sono bruttissimi ricordi; all’inizio avevo pensato di trovarmi su “Scherzi a parte”, poi man mano che passavano i minuti, mi sono reso conto che non si trattava di uno scherzo, soprattutto quando mi hanno portato a casa per una perquisizione. Come ho scritto anche nel libro, hanno usato dei metodi piuttosto duri; mi avessero detto “ci deve seguire” lo avrei fatto senza nessun problema, invece mi avevano fatto distendere a terra, ammanettandomi dietro alla schiena, insomma, una operazione come se era un criminale di alto livello. Poi mi hanno portato in caserma per le foto segnaletiche e prendere le impronte digitali, quindi in carcere a Cuneo, messo in isolamento per dieci giorni. Non lo auguro neanche al mio peggior nemico; forse lo fanno per farti parlare, in realtà io non avevo niente da dire, non vedevo l’ora di incontrare il magistrato, invece è successo dopo settantacinque giorni. Quello che dico sempre è che questa storia ho la fortuna di poterla raccontare, quindi ho sempre un pensiero per quelle persone che non hanno questa fortuna, perché sono in prigione senza essersi potuti difendere o perché la magistratura ha preso una piega diversa, o peggio ancora muoiono perché si sono ammalati, in quanto quando si vivono queste situazioni è alto il rischio di crollare emotivamente.»
«Raccontaci qualcosa della tua carriera sportiva.»
«Mi ritengo fortunato perché ho avuto una carriera sportiva importante. A sedici anni sono partito da Torino per andare a Ravenna in C/2, poi sono andato a Mantova, dove ho trovato un giovanissimo Marotta, quindi ad Asti, di nuovo in C/2. Poi mi ha preso il Cosenza che giocava in C/1: sono rimasto per quattro anni. Avevo diciotto anni, in Calabria sono cresciuto, sia come uomo, che come calciatore. A Pisa è iniziata l’avventura in serie A, poi Napoli, Genoa, Reggiana e finalmente la Juventus. Ho coronato un sogno, quando fai questo mestiere vorresti arrivare più in alto possibile. Fortunato perché sono arrivato in una Juventus molto forte, dove ho avuto la possibilità di dimostrare le mie capacità e dovrò ringraziare per sempre la proprietà, i compagni che mi hanno aiutato a inserirmi.»
«Torniamo a parlare della tua vicenda giudiziaria: tutto è nato quando hai prestato dei soldi ad un amico di infanzia per acquistare un cavallo, è vero?»
«Mi ha telefonato questo amico d’infanzia per chiedere un prestito, trentaseimila euro, per dei cavalli. Questa cosa non mi aveva stupito, quando veniva a Torino, spesso portava sua figlia a cavalcare. Era un amico, ma sapevo che aveva fatto qualche pasticcio, così per tutelarmi avevo dato i soldi a sua moglie. Questo passaggio aveva insospettito gli inquirenti.»
«Nel libro hai scritto “una volta cenavo con Zidane e Del Piero, oggi con Gigi e Bonny in un buco incrostato vista mare.” Sembra di capire che hai trovato tanto sostegno e solidarietà più in carcere, che fuori, sei d’aaccordo?»
«In carcere ho trovato un’umanità che mi ha sorpreso, pensavo fosse dovuto al fatto che ero un ex calciatore famoso, invece mi sono reso conto che ogni volta che arrivavano nuovi detenuti, c’era tanta disponibilità, a patto che dimostrassero di essere uomini veri.»
«Nel libro hai scritto che quella sera del 9 luglio 2006, quando Italia e Francia sono scese in campo per la finale mondiale, hai pianto, seguendo la partita dal carcere.»
«Ero in carcere quando i miei ex compagni vincevano i mondiali, l’invidia non è un sentimento che ho mai conosciuto, quella sera è stata dura, ma sapevo di dovermene fare una ragione. Sin dal primo giorno di carcere ho acquisito una forma mentis, secondo la quale, semmai ci fosse voluta tutta la vita, avrei dovuto lottare per dimostrare la mia innocenza e se anche ci sono voluti diciassette anni è stato così.»
«A proposito di Zidane, che idea ti sei fatto di quella reazione contro Materazzi?»
«Zidane è una persona stupenda, meravigliosa, attaccata alla famiglia; guai toccare i suoi familiari. Probabilmente Materazzi ha toccato delle corde che non doveva, ha ottenuto una reazione esagerata e forse anche per quella abbiamo vinto il mondiale. Comunque Zidane è un ragazzo meraviglioso, umile come persona, per quello che ha dimostrato in campo è grande. Quando mi chiedono chi è il giocatore più forte con cui ho giocato, dico che, senza dubbio, è lui.»
«Torniamo a parlare del libro; una delle persone che ti sono state vicine, nel periodo peggiore è stato Gianluca Vialli.»
«Non c’è un giorno in cui non dedichi un pensiero a Gianluca, avevamo un rapporto molto forte, tante affinità caratteriali; la scelta di andare a giocare all’estero è stata dettata da lui. Forse ci siamo frequentati di più a Londra, di quando eravamo a Torino. Un vero leader sotto ogni punto di vista, non mi ha stupito il suo atteggiamento da malato, quello era il suo carattere, era convinto di dare un messaggio forte agli altri, come ad esempio con Fedez, al quale ha detto, al telefono, “mi raccomando, combatti come un leone”. Non mi ha stupito questo suo atteggiamento.»
«Tra i tuoi colleghi calciatori, oltre a Vialli, chi ti è stato veramente vicino e chi ti ha deluso?»
«Un altro che mi è stato particolarmente vicino è stato Gianluca Presicci, anche lui al Cosenza, abbiamo fatto la C e la B insieme. Poi è andato al Modena, al Bologna ed ha fatto una bella carriera; lui e la sua famiglia non hanno dubitato un secondo sulla mia innocenza e ancora oggi siamo più vicini che mai. Non posso dire la stessa cosa di altre persone, però, come traspare dal mio libro, non porto rancore nei confronti di qualcuno, non punto il dito contro nessuno, mi piace pensare al presente e al futuro con serenità, non voglio avercela con nessuno, anche se ti confesso che quando ero detenuto, mi avrebbe fatto piacere ricevere un messaggio, un telegramma, tramite la mia famiglia.»
«Torniamo al gennaio del 2023, quando finalmente è arrivata l’assoluzione: hai provato più sollievo o rabbia?»
«Faccio fatica a raccontare cosa abbiamo provato io e la mia famiglia, quando mi hanno chiamato gli avvocati e mi hanno detto “sei stato assolto”. È stata una liberazione, io, mia moglie e mio figlio abbiamo pianto. Mi hanno spesso domandato se è stato più bello vincere la Champions o arrivare all’assoluzione. Ti posso assicurare che non c’è niente di più bello, per un uomo, di ottenere la libertà, in confronto ad una vittoria, seppure importante.»
«Che insegnamento di senti di trasmettere, dopo questa vicenda che ti è capitata?»
«Non ho commesso nessun reato e se dovessi tornare indietro rifarei le stesse cose, perché non mi dovevo nascondere da niente e da nessuno. Quello che posso consigliare è di non essere mai superficiali, non credere a un titolone sui giornali, al telegiornale quando parla dell’arresto di un personaggio famoso, perché molto spesso le cose non sono così come vengono raccontare. Qualche giorno fa ero con alcune persone di un’associazione che combatte contro questo tipo di ingiustizie: mi hanno fatto presenti dei dati sconfortanti, in media si verifica un errore giudiziario ogni otto ore, tre al giorno, mille ogni anno. Ai giovani dico, non giudicate, non puntate il dito, perché a volte le cose non sono come sembrano. In questi diciassette anni in cui mi sono dovuto difendere, senza un lavoro, ho acquistato i valori della famiglia, dell’amicizia, che secondo me non hanno prezzo.»
«Sei arrivato a Cosenza che avevi diciannove anni, praticamente una seconda casa; tra i compagni di squadra c’era Denis Bergamini, sulla cui fine regna ancora un mistero. Che idea ti sei fatto di ciò che è stato fatto passare per un suicidio?»
«Purtroppo questo ragazzo ha perso la vita, secondo me l’hanno ucciso, sono passati trent’anni, c’è un processo in atto e mi hanno informato che si andrà a sentenza il 20 luglio e non vorrei andare oltre. Però ho sempre detto che era un ragazzo fantastico, meraviglioso, si chiamava Denis, il nome che ho dato a mio figlio; ogni volta che lo chiamo, mi sembra di avere davanti quel ragazzo che aveva ventisette anni, che per me è stato un fratello maggiore; era una persona meravigliosa, spero che sia l’occasione giusta per dare soddisfazione e noi che gli abbiamo voluto bene ed alla famiglia che trent’anni fa ha perso un figlio e non sa come.»
«Adesso che progetti hai?»
«Non sono ancora rientrato nel mondo del calcio, ma percepisco molta sensibilità nei miei confronti, credo che da qui a breve si concretizzerà qualcosa. Io e la mia famiglia ce lo meritiamo, in diciassette anni ci siamo adattati a fare di tutto, i baristi aprendo il bar alle sette, chiudendo a mezzanotte; non abbiamo avuto paura di rimetterci in gioco, l’abbiamo fatto con grande umiltà. Sono orgoglioso di avere una famiglia molto unita, sono convinto che qualcosa per me accadrà, nel mondo del calcio.»
Una serata passata a parlare con un autentico campione, nello sport e nella vita, insieme a tanti sportivi, juventini e non, proprio come tra vecchi amici che si conoscono da una vita.
Una di quelle serate che vorresti non finissero mai, a ricordare persone, fatti, gol, coppe alzate al cielo, a parlare di come anche nella vita, come nello sport, arriva sempre il momento di farsi trovare pronti per tirare un calcio di rigore, quello più importante, anche se devi aspettare diciassette anni!