Gamberi rossi dal Messico, testuggini dalle orecchie rosse e nutrie dal Sudamerica, sono le specie “aliene” che attualmente vivono nell’oasi di Ripa Bianca. Aliene perché originarie di luoghi lontani dal nostro ma ormai parte integrante dell’ecosistema della riserva naturale del Comune di Jesi; ovviamente non senza alcune conseguenze importati sugli animali e le specie che già vivevano lì.
A spiegare la loro storia ed il loro ruolo nell’Oasi di Ripa Bianca sono stati Marco Petroni e Noemi Pollonara del WWF Jesi, in un incontro ospitato, lo scorso giovedì, dai locali di Corso Matteotti 6 nell’ambito della mostra “Jesi e il ‘900 verso il 2050“, a cura della Fondazione Cardinaletti.
“Tra le tante cose di cui si occupa il WWF – ha spiegato Petroni – ci sono quegli animali che vengono chiamati esotici invasivi, ovvero tutte quelle specie che, arrivate da altri territori, causano danni alla fauna e all’ambiente locale. La presenza di questi animali è considerata la seconda causa della perdita di biodiversità e se manca la biodiversità manca il principale tassello per l’evoluzione“.
Ma come arrivano le specie aliene? E Perché diventano invasive?
A spiegare la storia e l’arrivo di quelle che sono le specie aliene presenti nell’Oasi di Ripa Bianca è stata la biologa e volontaria del WWF Noemi Pollonara.
“Le specie esotiche definite anche alloctone o aliene sono quelle che arrivano in un’area che non è la loro perché trasportate dall’uomo” ha iniziato. “Nel corso della storia l’uomo ha sempre spostato delle specie native o indigene. Questo non è sempre negativo, pensiamo a patate, pomodori o fagiani, che non hanno avuto ricadute negative sul territorio d’arrivo. Il problema si ha quando le specie aliene, una volta arrivate, si insediano sul territorio ed iniziano a compromettere la sopravvivenza delle altre specie“.
Questo accade perché esse sono spesso “più avvantaggiate rispetto alle specie autoctone e nella competizione vincono“. Numerosi gli impatti della loro presenza in un habitat: “sono la seconda causa di estinzione, hanno ricadute da un punto di vista sanitario portando con loro nuove malattie, da un punto di vista ambientale perché occupano lo spazio delle altre specie e sono più resistenti, ma anche impatti economici sia in agricoltura che non, perché gli stati devono spendere soldi per controllarle. Come accade ad esempio con la gestione della nutria che scava gallerie lungo gli argini dei fiumi e costa ogni anno all’Italia, secondo le stime, circa 4 milioni di euro“.
Gamberi, testuggini e nutrie, gli alieni di Ripa Bianca
Raccontate infine, le specie presenti a Ripa Bianca. Ad iniziare dal Gambero rosso, importato negli anni ’70 da Messico e Stati Uniti per sostituire quello autoctono, già sofferente per l’eccessiva pesca e per la distruzione e l’inquinamento delle acque. “Si sono diffusi molto perché hanno una grande capacità di respirare l’aria riuscendo a spostarsi per distanze abbastanza grandi. Le femmine depongono fino a 600 uova per ogni evento riproduttivo ed inoltre, sono portatori della peste del gambero alla quale loro sono immuni ma che viene subita dai gamberi autoctoni“.
Poi la Testuggine palustre americana dalle orecchie rosse, le piccole tartarughe che venivano vendute alle fiere ma che, una volta diventate adulte, sono state abbandonate nell’ambiente circostante da chi ne aveva acquistate senza fare i conti con la loro crescita. “Sono le specie che causano più problemi nell’Oasi – ha spiegato Noemi. Si cibano anche di piccoli uccelli, di uova e competono con tutti gli uccelli che nidificano a Ripa Bianca mangiando anche le uova di pesci, girini e anfibi“.
Infine la nutria “introdotta per la pelliccia di castorino dal Sudamerica. Quando sono passate di moda le pellicce le specie che si trovavano negli allevamenti sono state liberate. Essendo completamente erbivori non si cibano di uccelli o altro ma disturbano gli uccelli che nidificano a terra perché rompono i nidi al loro passaggio“.