Una serata dedicata al Motorclub jesino che ha segnato la storia sportiva della Regione grazie al nuovo libro di Gianni Montali
La stampa del tempo descrisse la nascita della scuderia del Leone Rampante come “un grande avvenimento” che avrebbe avuto “notevoli ripercussioni nel campo sportivo regionale“. Un’intuizione che fu verità. Quella realtà nata da un piccolo gruppi di jesini, soci dell’Aci, infatti portò Jesi nel mondo dell’automobilismo e del motociclismo sportivo, rivelandosi una calamita per famiglie e generazioni di piloti che hanno segnato la storia del territorio.
Tutto questo, è parte di un’opera curata dal fondatore di Radio Vallesina Gianni Montali dal titolo “La storia della scuderia e Motorclub Leone Rampante“. Il libro è stato presentato venerdì sera alla Biblioteca La Fornace di Moie, in un evento patrocinato dai comuni di Maiolati Spontini e Jesi, che ha richiamato nel centro culturale amici, sportivi ed appassionati, insieme ad un gremito pubblico di concittadini.
Accanto a Gianni, pronti a raccontare la loro storia c’erano Giancarlo e Alessia Polita, il campione di motociclismo Giancarlo Falappa, pilota per quattro anni in Superbike con 16 vittorie internazionali e 8 pole, lo speaker ufficiale dei circuiti di Imola e Misano Boris Casadio che ha intervistato gli ospiti, e l’ingegnere Paolo Massai firma della prefazione in apertura dell’opera. In platea, il vicesindaco di Jesi Samuele Animali ed il primo cittadino di Maiolati Spontini Tiziano Consoli, gli imprenditori Enrico Loccioni, Andrea Pieralisi, Bruno Garbini, l’Assessore regionale Goffredo Brandoni, Cinzia Nicolini presidente dell’Associazione dei Cavalieri al Merito della Repubblica Italiana e Floriano Paialunga presiederete del club Ferrari di Montemarciano. La serata è stata condotta da Lara Gentilucci.
Dalla Mille miglia alla nascita del Motorclub
Tra i fondatori della scuderia Leone Rampante vi era anche il padre di Gianni Montali, Roberto, che dopo la fondazione rivestì la carica di vicepresidente. Già da alcuni anni, prima del ’57, Montali partecipava alla Mille Miglia, tra le corse su strada più famose al mondo, con auto di sua proprietà. “Le auto partivano dal centro di Brescia e tra la prima e l’ultima passavano circa 9 ore. Dopo Brescia, si passava per Ravenna, Pescara, l’Aquila, Roma, Pisa, Firenze, Bologna e di nuovo a Brescia. Mio padre partecipò a sei edizioni e nel ’57 corse con il numero 505, la cifra che indicava l’orario di partenza da Brescia, alle 5.05“- racconta Gianni al pubblico.
“Nel libro ci sono delle foto che ho avuto la fortuna di scattare in alcune aste e ho messo dei dati tecnici per farli confrontare con i motori di oggi. Pur essendo auto del ’60 avevano dei punti notevolissimi, nonostante fossero molto difficili da guidare. Avevano i freni a tamburo e se non c’entravi la giusta finestra termica frenavano a fatica, per sterzare ci voleva molta forza e dovevi anche avere la sensibilità di fermarti al momento giusto” – aggiunge Paolo Massai.
Quando Roberto Montali partecipa alla sua ultima Mille Miglia è il 1957 e sulla tuta porta lo stemma del Leone Rampante. La scuderia di Jesi, nata da pochi mesi, fa il suo debutto nella competizione che però, proprio quell’anno, verrà abolita dopo il tragico incidente di Guidizzolo.
Dopo la fine della Mille Miglia, la scuderia jesina è costretta a ridurre la partecipazione a gare di rilievo, mentre la velocità sulle quattro ruote accusa la crisi di una perdita di interesse generale. “Quando si pensa alle Marche, a Jesi e al maceratese, si pensa alle due ruote – afferma Boris Casadio – Si pensa al motocross“. Ed è proprio dal kart e dalle ruote tassellate che, nel ricordo passato della scuderia, nasce nel 1972 il Motorclub Leone Rampante. I marchigiani gareggiano e conquistano titoli e a San Marcello, in contrada Acquasanta, nasce una pista, dedicata oggi ad Alvaro Peverieri, dove organizzare ed accogliere gare di rilievo.
Dalle tassellate alle gomme da corsa, Giancarlo Falappa e la Famiglia Polita
Anche Giancarlo Falappa, così come Giancarlo Polita, guidano sulla strada sterrata prima di sposare la velocità su pista.
Falappa debutta nel 1987 nella Sport Production vincendo due gare su tre. Nasce così il mito del Leone di Jesi che, in quattro anni in Superbike, conquisterà 16 vittorie internazionali e 8 pole position. Nel ’90 – racconta lui stesso – “il primo brutto incidente subito dopo l’esordio in Ducati. 27 fratture che condizioneranno da quel momento tutta la mia carriera“, con un braccio sinistro che non guarisce del tutto dall’incidente. Nel ’93 torna a vincere ed inizia bene anche la stagione 1994: “a Misano avevo iniziato con una bella vittoria, nell’ultima gara prima dell’incidente avevo fatto secondo alla prima manche e primo nella seconda. Quell’11 giugno, in vista del mondiale Superbike di Spagna, era il giorno in cui avrei testato il cambio a pulsante, dato il problema del braccio. E così è stato, ma la ruota si bloccò e venni sbalzato in aria a 188 chilometri orari. Sono stato in coma 38 giorni“.
In chiusura, la parola ai membri della Famiglia Polita, formata dai piloti Giancarlo, Alessia e dal due volte campione italiano Alex vincitore della Superstock 1000 e Superbike.
La passione dei genitori trasmessa ai due figli, come accade in molte famiglie di corsisti. Alex sale in moto da piccolo, mentre Alessia guarda da bordo pista suo fratello sognando di seguirne le orme. “Per me è stato difficile salire in moto – racconta – Fino a 16 anni quando chiedevo di provare era un divieto categorico ma erano proprio quei no ad inchiodarmi a brodo pista. Chiesi di fare un giro a Misano come regalo per i miei 16 anni. Avevo rubato con gli occhi e appena sono entrata in pista sono andata subito bene. Da lì sono iniziati i 12 anni più belli e costruttivi della mia vita“.
Erano anni diversi da quelli di oggi, le donne in pista erano poche e correvano insieme agli uomini.
Quella ragazza che all’inizio accompagnava il fratello e il padre alle corse diventa però una protagonista. Quel 2013, con la Yamaha R6 vince una prova del mondiale in Supersport a Monza. Poi arriva il fatidico 15 giugno e la curva 16 del circuito di Misano: “quando è arrivata la sedia a rotelle è stato difficilissimo. Non conoscevo il mondo della disabilità e ho scoperto che c’è un mondo normalissimo dove devi solo svegliarti la mattina con la voglia di fare”. E la voglia – nel suo caso – è anche quella di riprovare le emozioni che la velocità le regalava: “ho provato di tutto, dal basket al tennis. Poi lo sci, che si è avvicinato un po’ di più alla velocità e alle curve, ma siamo nelle Marche e sciare non è dietro l’angolo. Da due anni mi sto dedicando all’hand bike grazie ad Alex Zanardi ed alla sua squadra“.
Brandoni: “libro che tramanda storia e passione alle generazioni future”
Quella appena letta è solo un accenno di quanto racchiuso nel libro di Montali. Nelle 110 pagine che lo compongono vivono storie di sport e di persone che hanno contribuito a disegnare un territorio. Ripercorrerle fa rivivere un periodo storico dove il sogno di correre incontrava un punto di riferimento per diventare realtà, dove il nome della città risuonava nei circuiti grazie a coloro che, guidati alla passione per la velocità, mettevano in gioco la propria vita.
“Una serata che ha raccontato la passione per i motori che ci accomuna – afferma in chiusura Goffredo Brandoni. “Quando avevo 15 anni, vidi in televisione l’incidente in cui perse la vita Lorenzo Bandini. Mi chiesi perché le persone scegliessero di sacrificare in quel modo la propria vita in nome di uno sport. Da quella domanda nacque la curiosità di scoprirlo. Iniziai a seguire le moto a Cesenatico, al Gran Premio di Rimini. Ogni 2 o 3 gare morivano dei piloti. Quello che scoprii, correndo timidamente a mia volta il Trofeo Alfa Sud, che a portarti in pista è l’emozione unica che la velocità ti trasmette, ad iniziare da quando sei sulla grigia di partenza e, solo, senti il battito accelerato del tuo cuore. Quello che ti dà la passione che hai dentro. La Mille Miglia di oggi non è più quella di una volta, che si correva sulle strade impolverate rischiando la vita. Correre è meno democratico ma la passione per questo sport è immutata. Questo libro la ricorda e la tramanda alle future generazioni”.