“E se non ci sarà più gente come me, Voglio morire in Piazza Grande, Tra i gatti che non han padrone come me attorno a me“; nel 1976 con questi versi, Lucio Dalla concludeva la sua Piazza Grande e, per la prima volta, la raccontava al pubblico. La canzone, come altri testi del compositore bolognese, è diventata uno dei brani protagonisti della canzone e della cultura italiana.
Oggi, 1 marzo, ricorre l’anniversario del suo addio. Quando la morte lo chiamò, non si trovava nella sua Piazza Grande. Non era circondato dall’intimità fonte delle sue canzoni, né da gatti senza padrone che nel brano evocano una realtà di solitudine. Quando la morte arrivò da Lucio, si trovava in una camera d’albero a Montreux, in Svizzera, dove era andato per un concerto. Aveva 68 anni, ne avrebbe finiti 69 appena tre giorni dopo, quando ricorreva il suo compleanno consacrato dalla celebre canzone 4/3/1943.
Ma chi fa il lavoro di Lucio sa che morire veramente sarebbe un’utopia. Riuscire, attraverso la propria umanità ed il linguaggio artistico, a lasciare il segno nel cuore delle persone equivale alla possibilità di comunicare anche quando non ci sarai più. È questa, del resto, la vocazione di ogni artista: dar vita a delle creature e lasciarle al mondo; da se stessi agli e per gli altri. Così, “Caruso“, “L’anno che verrà”, “Piazza Grande”, “La sera dei miracoli“, “Com’è profondo il mare” e gli altri capolavori da lui firmati, continueranno a far vivere l’umanità di Lucio e la sua capacità unica di leggere il mondo, commuovendo ogni “giovane uomo del futuro“.