16 pagine di quiz e giochi da vendere al costo di 50 centesimi di lire. Questa l’idea che portò il nobile ingegnere Giorgio Sinini a fondare a Milano la “Settimana enigmistica“. L’ispirazione nacque dal periodico austriaco Das Rätsel con il quale la prima pubblicazione italiana condivideva anche l’immagine riportata in copertina con l’attrice messicana Lupe Vélez. Al fondatore, si aggiunse presto il collaboratore Pietro Bartezzagli, ideatore dei complessi cruciverba chiamati, in suo onore, “I Bartezzagni”.
Da quel 23 gennaio 1932, la piccola rivista nata per “far risolvere enigmi” agli italiani, divenne protagonista della tradizione popolare del paese. Crebbe in quantità, arrivando fino a 48 pagine nel 1995, anno in cui venne introdotto il colore ma negli anni mantenne alcuni tratti identitari che ne hanno preservato l’unicità, come l’immagine di un personaggio famoso in copertina e le soluzioni nelle ultime pagine.
La sua fortuna, affonda le radici in un’arte antica quanto la civiltà umana. Da sempre le persone sono infatti attratte da misteri da risolvere o questioni da svelare, per mettere alla prova se stessi e gli altri. I greci la chiamarono “enigmistica“, l’arte di risolvere enigmi che, dagli antichi indovinelli, assunsero nei secoli la veste di vero o falso, rebus, giochi di parole, quadrati di lettere che nascondono lemmi, domande dalla risposta da incastonare in piccole caselle incrociate tra loro.
Enigmi che, grazie alla Settimana enigmistica, riportano alla mente chiacchierate sotto l’ombrellone alla ricerca di date e nomi dei tempi della scuola. La fortuna del piccolo libricino sta allora nel suo contenuto sociale. Nella bellezza di sollevare domande tra i presenti e cercare insieme di intercettare la risposta, dando prova, con una “sfrontatezza” tutta italiana, di cultura generale e smisurata conoscenza.