“L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà“, ma anche “Tanti auguri“, “Maracaibo” che porta tra i tavoli dei cenoni melodie venezuelane e una certa confusione che si concretizza in un “sarà perché ti amo?“. Sono i versi di grandi classici della canzone italiana che, la notte tra il 31 dicembre ed il 1 gennaio, vengono intonati per salutare l’anno nuovo. Ever green conosciuti da tutti che, proprio per questo, uniscono e rendono unica la convivialità della serata più brillante dell’anno.
A scriverli sono stati, anni fa, i cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana. Cantarne ogni anno è un modo per omaggiarli, mentre nella spensieratezza di brindisi e allegria, passano in secondo piano i significati profondi che gli artisti hanno incastonato tra i versi. Ecco dunque, un viaggio alla scoperta delle canzoni protagoniste di ogni capodanno italiano, aspettando di cantarne stasera allo scoccare del 2024!
“Ogni giorno come una pesca miracolosa”
Renato Zero scrive “i migliori anni” nel 1995, per il ventesimo album della sua carriera, regalando al mondo una delle canzoni più commoventi e conosciute del suo repertorio. Un inno al presente che, quando viene cantato, invita a soffermarsi su ciò che si ha e sulla bellezza del vivere. L’invito a vivere ogni giorno “come una pesca miracolosa” dando importanza alle piccole e quotidiane cose, a “stringersi forte” perché nessuna notte è infinita” e a vivere a pieno senza tristezza “i migliori anni della nostra vita“.
Lui, lei e l’altra: le due storie di un “Ti amo”
Ad Umberto Tozzi, il merito di aver composto il “Ti amo” più cantato di ogni festa. La forza della canzone sta proprio nel verbo ripetuto ed intonato, come una filastrocca dal ritornello che scandisce i diversi momenti della canzone. Lo stesso ritornello che ha trasformato il componimento in una delle canzoni più cantate per parlare d’amore, quando la storia raccontata è tutt’altro che idilliaca ma piuttosto una fotografia di quanto l’amore umano sia imperfetto.
Il topos è semplice. C’è lui, lei e l’altra. Un triangolo che divide la canzone in due parti, la prima dedicata all’amante del protagonista, la seconda a sua moglie. Quella con l’altra è una storia nata per gioco, tanto fugace quanto una “farfalla che muore sbattendo le ali“, che potrebbe chiudersi con un “soldo lanciato in aria“. Umberto Tozzi la scrive nel 1977 ed il protagonista che ritrae, ricalca l’ideale di uomo tradizionale, che se sbaglia cedendo deve anche tornare al focolare domestico. Se da una parte dunque l’amante rappresenta un mondo fugace ma pieno di passione che lo fa “tremare davanti al suo seno“, dall’altra, visto che è il primo maggio e non ha la scusa del lavoro per prolungarsi lontano da casa, deve tornare dalla moglie, simbolo di certezza e stabilità. Per questo, la seconda parte inizia con un “guerriero di carta igienica” che chiede perdono, seguita da situazioni quotidiane fatte di una donna che stira, un vino che non inebria più ed un figlio che, nella routine, potrebbe “vestire la rabbia di pace” e salvare l’intoccabile amore.
La Raffaella nazionale “Da Trieste in giù” a “Maracaibo”
È il 1978 e la Carrà irrompe sulla scena con il suo iconico quanto provocatorio “Com’è bello far I’amore da Trieste in giù / L’importante e farlo sempre con chi hai voglia tu”. “Tanti auguri” è il titolo del brano che, per la sua forza comunicativa e musicalità, è diventato negli anni una delle canzoni preferite per augurarsi a vicenda qualcosa. Che cosa è tutto nel testo. “Se non c’è odio e non c’è guerra” quando a letto l’amore c’è, la canzone diventa un inno alla libertà. Un augurio di amore vissuto senza preoccupazioni e senza condizionamenti, soprattutto da parte del mondo femminile che, negli anni, ha fatto dei versi della Carrà un motto di rivendicazione.
Da Trieste in giù a “Maracaibo“, anche questa una delle canzoni più ballate a fine cenone. In questo caso, la canzone è di denuncia e porta in Italia la storia della ballerina Zazà e di Fidel Castro che, per motivi di censura, nella canzone diventa Miguel.
Che confusione, “sarà perché ti amo?”
Da canzoni dove l’amore è sofferto o trasgressione, ad un brano che invece ne celebra le sensazioni più innocenti. Nella volontà dei Ricchi e poveri nel 1981, il raccontare l’amore nella sua fase iniziale, quando la conoscenza dell’altro si concretizza in confusione e sensazioni mai provate prima. Vicino alla persona amata “è primavera“, “il mondo sembra matto“, “si vola in alto” e tutto il resto non conta: “matto per matto. Almeno noi ci amiamo“.
“Caro amico ti scrivo”
A chiudere la cinquina, uno dei grandi successi di Lucio Dalla. Il brano è del 1979 e viene inserito nel quarto album dell’artista come canzone finale. Un brano che dunque, nella sua genesi, ha il potere di riassumere ciò che è stato, lasciare un segno e guardare al domani, “all’anno che verrà“.
L’incipit possiede l’intimità di uno scambio epistolare. Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’. All’amico lontano, Dalla racconta quanto successo nell’anno che si sta per chiudere. C’è il riferimento agli anni bui segnati da terrorismo e paura, “si esce poco la sera” e qualcuno mette ancora “sacchi di sabbia alla finestra“. Ma il nuovo anno che sta per iniziare deve far pensare ad un futuro migliore. Così si immaginano tre Natali, e “festa tutto il giorno“. Cristo che risorge e scende dalla croce mentre gli uccelli fanno ritorno.
“Vedi caro amico cosa si deve inventare per continuare a sperare?” chiede l’artista. Nonostante il buio e le difficoltà, a fare la differenza è così la capacità di vedere oltre ed essere pronti, immaginando un futuro migliore che, inevitabilmente, “tra un anno passerà“.