Monday 25 November, 2024
HomeCulturaÈ Despina di “Così fan tutte”, l’amica di cui ogni donna avrebbe oggi bisogno

A Teatro Pergolesi, la stagione lirica è stata inaugurata dal “Così fan tutte”, l’opera più emblematica della trilogia Mozart – Da Ponte. Più di due secoli dopo la prima rappresentazione al Burgtheater di Vienna le scene, a cura del celebre disegnatore Milo Manara, hanno portato al pubblico di oggi la storia dei sei protagonisti e, da lirico classico che si rispetti, l’interpretazione non potrebbe essere che attuale

È ciò che distingue i classici, l’essere validi in ogni epoca, l’essere rivoluzionari anche a secoli di distanza, dispensare chiavi di lettura della realtà. Modelli di riferimento, che popolano ogni linguaggio della cultura. Il pubblico li giudica spesso scandalosi. Subiscono censura. Vengono talvolta sottovalutati. Come fossero opere scritte per gli uomini del futuro.

Così fan tutte” è sicuramente una di queste. Sulla scena, “un quartetto” che “più giocondo non si è visto in tutto il mondo“. O almeno, così piace pensare al perbenista pubblico viennese del 1790 che si scandalizza per l’erotismo protagonista della trama e per l’amore messo alla prova con l’inganno.

Le coppie sono due, da una parte Fiordiligi e Guglielmo, dall’altra Dorabella e Ferrando. Le due dame sono sorelle, vivono sotto lo stesso tetto e si confidano sui loro amori. I due uomini sono ufficiali, pronti a scommettere qualsiasi cosa sulla fedeltà delle loro amate. E di fatto è ciò che faranno. Quando il cinico filosofo Don Alfonso proporrà loro di scommettere sulle loro fidanzate i due sono pronti a finger di partire per la guerra, travestirsi e provare a corrompere l’uno l’amata dell’altro, convinti che mai riuscirebbero a farle innamorare.

Ne usciranno traditi. La devozione di Dorabella e Fiordiligi non era così salda come i due giovani credevano e questo permetterà a Don Alfonso di confermare la sua teoria cantata dalla celebre ottava:

Tutti accusan le donne ed io le scuso. Se mille volte al dì cangiano amore; altri un vizio lo chiama, ed altri un uso, Ed a me par necessità del core. L’amante che si trova alfin deluso, Non condanni l’altrui, Ma il proprio errore. Giacché giovani, vecchie e belle e brutte, Ripetete con me: Così fan tutte!

Siamo alla fine del Settecento, la cultura non potrebbe permettere altro che una vena maschilistica di fondo. Ciò che il filosofo ci tiene a dimostrare è che aspettarsi troppo dalle donne è un errore. Tutte uguali, accomunate da una fede che è come “l’araba fenice“. Non ci si può far nulla, sono fatte così per natura, così come “di natura” sono le leggi che regolano l’amore tra gli uomini. Per questo le relazioni sono tanto fragili, perché per natura le donne sono corruttibili e gli uomini fanno l’errore di non vederle per quel che sono. E giacché questa è la realtà dei fatti, come l’esperimento dimostra, tanto vale tornare al “giocoso quartetto iniziale“. Perché mantenere mutata una realtà che prima era tanto confortevole e accettata? Del resto i due uomini le amano ancora e averne una piuttosto che un’altra non cambierebbe nulla.

Ma il finale viene giudicato “aperto”. “Sospeso“, secondo la critica novecentesca, ed ancora oggi si cercano chiavi di lettura che, mentre i secoli passano, possano regalare ulteriori interpretazioni di questo idilliaco ordine ristabilito nei versi finali.

E se un’interpretazione diversa venisse invece da una lettura femminile dell’opera?

La controlettura femminile: Despina vince i secoli e parla di libertà

Per leggere la trama dal punto di vista femminile è necessario fare il rivoluzionario sforzo di mettersi nei panni di Dorabella e Fiordiligi. Sono due giovani sorelle, educate ad assecondare il buon costume per assicurarsi marito e futuro da spose. Per loro, Ferrando e Guglielmo sono la certezza che mai penserebbero di mettere in discussione. Sono il loro futuro, quale alternativa potrebbe mai essere contemplata? La chiamata alle armi e l’allontanamento dagli amati le destabilizza e, protette dalle mura di casa, si lamentano l’una con l’altra per la paura di perderli.

Finché una terza voce non spezza il coro elegiaco sentimentale delle due dame. È quella di Despina, giovane cameriera che, con estrema semplicità e naturalezza, racconterà alle due che c’è un modo diverso di vedere il mondo. Despina non viene dal loro ambiente, il mondo delle due fanciulle l’ha sempre vissuto lavorandoci dentro. Un’osservatrice da dietro le quinte che, a servizio dell’agire umano altrui, ha acquisito l’occhio critico per capire cosa muove gli uomini, le loro abitudini, le loro scelte. Un personaggio disilluso e per questo estremamente “versatile“, come un Ulisse “polutropon” che si traveste e sa come sono le vite degli altri.

L’arrivo dei due nuovi spasimanti destabilizza ancora di più le due giovani. Vanno in confusione, provano ciò che non dovrebbero. Sperimentano che “troppo si chiede a una fida e onesta amante” quando il cuore inizia a provare passione. E mentre si disperano tra il dovere di essere fedeli e la voglia di vivere nuove emozioni, ecco che Despina proclama la sua verità, contraltare di quella portata al pubblico da Don Alfonso:

In uomini, in soldati Sperare fedeltà? Non vi fate sentir per carità! Di pasta simile Son tutti quanti, Le fronde mobili, L’aure incostanti (…) In noi non amano che il lor diletto; poi ci dispregiano neganci affetto. Paghiam o femmine d’ugual moneta Questa malefica razza indiscreta; Amiam per comodo, Per vanità

Sono gli uomini ad essere tutti uguali secondo Despina. Ma a differenza di quanto suggerito a Ferrando e Guglielmo dal loro mentore Don Alfonso, Despina raccomanda un pizzico, di sano cinismo. Pensare a se stesse, in un mondo dove regnano infedeltà e inganni. Del resto, perché non dovrebbero accettare i nuovi pretendenti: l’amore è “piacer, comodo, gusto, Gioia, divertimento, passatempo e allegria” e non lo è più quando diventa “incomodo. Se invece di piacer nuoce e tormenta“.

All’epoca, la visione moderna di Despina non vinse. Ascoltarla portò alle due donne una momentanea trasgressione, perdonata e cancellata dall’ordine ristabilito. Pagarono con la felicità, ma quella femminile non era di certo protagonista a fine Settecento. Chissà, se l’opera fosse stata scritta ora, magari, avrebbe avuto un finale diverso. Meno aperto sull’interpretazione ma aperto al “cambiamento” che sempre ha un senso quando è causa della ricerca di felicità.

Autore

Giorgia Clementi

Nata sotto il segno del leone, cresciuta nella capitale del Verdicchio. Dopo la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele II di Jesi scopro l'interesse per il mondo della comunicazione che scelgo di assecondare, dapprima con una triennale all'Università di Macerata, ed in seguito con una laurea magistrale in Giornalismo ed editoria all'Università di Parma. Spirito d'iniziativa, dinamismo, (e relativa modestia), i segni che mi contraddistinguono, insieme ad un amore unico per le bellezze del mio territorio. L'idea di fondare Capocronaca, insieme a Cristina, nasce all'inizio del 2023. Nelle sue fondamenta, la volontà di dare ai lettori una voce nuova da ascoltare e scoprire insieme a loro, cosa accade ogni giorno.