Nel bicchiere la dolcezza convive con un retrogusto amarognolo, mentre l’intenso rosso purpureo tinge le labbra. Alcune tradizioni locali lo chiamano “elisir da corteggiamento” perché amato in particolar modo dalle donne per il suo sapore deciso ma avvolgente.
Si parla di uno dei prodotti tipici dell’enologia marchigiana, unico in Italia: il vino di visciola.
Patrimonio regionale dalla storia antica
Non un semplice vino ma un patrimonio da tutelare, prodotto da procedure di vinificazione tramandate di generazione in generazione che hanno per protagonista la visciola.
Non troppo conosciuto fuori regione, la sua descrizione desta sempre una certa curiosità e stupore.
In primis, per la particolare “uva” dal quale il purpureo “vino” nasce.
Il vino di visciola è infatti una particolare bevanda alcolica a base di visciola, piccolo frutto che ricorda le ciliegie o le amarene. Si tratta di una pianta selvatica che matura i suoi frutti in estate – generalmente le visciole vengono raccolte a luglio quando hanno raggiunto la corretta tonalità di rosso – e cresce in alcune zone delle Marche come l’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino e la Vallesina.
L’origine dell’albero è antichissima e, come tutte le varietà di ciliegie, affonda le sue radici in Oriente. Ne scrive Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” raccontando come il ciliegio fu portato in Italia dal generale Lucinio Lucullo dopo la vittoria su Mitridate. Prima di quel momento, indicativamente tra il 68 ed il 71 a.c. la ciliegia e le specie da essa discendenti, erano sconosciute nel territorio italiano. I Romani rimasero affascinati dalle nuove perle rosse e dalle loro qualità, iniziandole a degustare unite al miele. Risale invece al Medioevo, la preparazione di sciroppi e sieri.
A San Paolo di Jesi, la decennale sagra che lo celebra
Dal passato, le ciliegie ebbero fortuna in molte regioni italiane. Ad oggi la Puglia ne è uno dei maggiori produttori.
Meno fortuna ebbero le loro sorelle “visciole”, patrimonio attualmente custodito appunto, solo dalle Marche.
Una sfortuna per la loro fama, ma una fortuna per la Regione che può riconoscere il tipico vino come parte della sua identità enogastronomica. Per questo, una decennale sagra nel cuore della Vallesina, ogni anno ne celebra le proprietà e, soprattutto, il suo valore conviviale. Perché il vino di visciola non sarebbe un vero patrimonio delle Marche se i marchigiani non lo celebrassero con l’atmosfera unica alla quale sanno dar vita.
Così, il modo migliore per scoprirlo nella sua completezza è visitare San Paolo di Jesi e la sua Festa del Vì de visciola, dal 18 al 20 ottobre. La visciola sovrasterà le vie del piccolo borgo mentre, insieme a centinaia di visitatori si avrà la possibilità di degustare il rosso vino negli stand che danno corpo alla sagra, scoprendo anche le numerose cantine che popolano il territorio.
Infine, una domanda fondamentale: quali sono i segreti per preparare il tipico “vino di visciola”?
Sono due le modalità tipicamente condivise.
Nel primo caso, si è soliti preparare un composto a base di visciole appena raccolte e zucchero, lasciato a riposare fino al periodo della vendemmia quando verrà unito al mosto prodotto dalla pigiatura dell’uva rossa. Le visciole unite allo zucchero e al mosto vengono lasciate fermentare fino alla primavera successiva, quando il vino, filtrato dal frutto, è pronto per essere imbottigliato.
Nel secondo caso, le visciole sono fatte macerare sin dal momento successivo alla raccolta nel vino, anche in questo caso con l’aggiunta di zucchero.
Può essere bevuto da solo, a fine pasto, come liquore per celebrare un momento in compagnia, oppure, come la tradizione suggerisce, unito a pasticceria secca. “La morte sua“, come direbbe un marchigiano DOC difendendo una verità indiscussa, sono i tipici cantucci.